L’iniziativa popolare con l’obiettivo di portare sempre alle urne i cittadini sui trattati internazionali importanti non l’ha spuntata. Questo non vuole però dire che su tali accordi non si voterà. Dovrà però esserci qualcuno che si sobbarcherà il compito, di certo non leggero, di raccogliere le firme: perché un referendum riesca, ce ne vogliono 50 mila in 100 giorni.
Quel qualcuno ci sarà nel caso degli accordi fiscali con Gran Bretagna, Germania ed Austria. L’ASNI ha annunciato il referendum e in Ticino la Lega sarà della partita.
Gli accordi approvati a maggioranza dalle Camere federali altro non sono che il frutto della politica del cedimento ad oltranza del Consiglio federale davanti alle pretese di un’UE sull’orlo del baratro.
I Confederati nel 1291 resistettero agli Asburgo che avrebbero dominato l’Europa per un millennio; oggi il Consiglio federale alza bandiera bianca anche davanti a nazioni fallite. I tempi sono proprio cambiati!
I trattati con Gran Bretagna, Germania ed Austria, con liberatorie al 30-40%, rappresentano un pericoloso precedente per le negoziazioni in corso con l’Italia. Non solo, ma avranno un prezzo altissimo: i banchieri privati parlano di anche il 30% dei posti di lavoro a rischio, le cifre avanzate dai fiduciari non sono più allegre.
Questo vuol dire migliaia di disoccupati sulla piazza finanziaria ticinese. Con il corollario che ne consegue. Precarietà, sostituzione di ticinesi con frontalieri. Inoltre, caduta del potere d’acquisto e degli indotti creati dai bancari e, ovviamente, netta perdita di gettito fiscale. Fa specie che la Sinistra, sempre pronta a scagliarsi istericamente contro ogni ipotesi di sgravio fiscale, sembri non rendersi conto di quest’ultimo aspetto (nemmeno degli altri, per la verità).
Il Consiglio federale, come pure le Camere, non hanno fatto il proprio dovere nei confronti del Paese. Invece di difenderne le risorse ed i posti di lavoro hanno ceduto davanti a tutte le pressioni internazionali in arrivo da UE, OCSE e compagnia bella. Le conseguenze, se gli accordi conclusi diventeranno realtà, non tarderanno a manifestarsi, e saranno tragiche. Se qualcuno poi si illude che simili trattati taciteranno gli appetiti di un’Europa farcita di Stati in bancarotta, che ha messo gli occhi sulla nostra piazza finanziaria, per questo qualcuno si prepara un amaro risveglio. La Svizzera rispetta i patti. Gli altri no. Oltretutto non passa quasi giorno senza che si apprenda di qualche nuovo cedimento federale nei confronti dell’UE. Gli accordi sottoscritti, ben lungi dal mettere la parola fine alla débâcle della piazza finanziaria svizzera in generale e ticinese in particolare, non saranno che l’inizio. Il fatto che l’accordo con la Germania spalanchi le porte alle fishing expeditions creando la possibilità di controlli a campione, la dice lunga.
Da sottolineare, poi, la mancanza di reciprocità: forse che in Austria – nazione che si tiene ben stretto il proprio segreto bancario pur essendo membro dell’Unione europea – non ci sono capitali elvetici? E come la mettiamo con la piazza londinese e con le bizzarre isolette nella Manica? Il fatto che da queste “location” non confluirà in Svizzera un centesimo, è un ulteriore chiaro indizio che i tre trattati “benedetti” a Berna non sono frutto di una negoziazione, ma di una resa unilaterale da parte elvetica.
Che poi la Svizzera si impegni a fungere da esattore fiscale per conto di paesi che non sono in grado di far pagare le imposte ai propri cittadini, ponendosi così in una funzione servile, è anche lesivo della nostra sovranità.
Né deve trarre in inganno il sostegno che gli accordi Rubik riscuotono presso le grandi banche, la cui priorità è mettere una pietra su trascorsi imbarazzanti (eufemismo). A queste multinazionali il futuro della piazza elvetica interessa poco. Gli accordi approvati porteranno, semplicemente, ad una fuga di capitali (e di conseguenza di posti di lavoro) dalla Svizzera verso lidi esotici. Le grandi banche compenseranno in tali lidi ciò che non guadagneranno più nel nostro Paese. Senza danno per l’utile globale.
I posti di lavoro sulla nostra piazza finanziaria – e a rischio ci sono migliaia di impieghi – meritano di venire difesi con forza contro una simile politica della bandiera bianca. Per questo il referendum deve riuscire.
Lorenzo Quadri
Consigliere nazionale
Lega dei Ticinesi