E’ evidente che, in queste condizioni, le moschee devono essere “sorvegliate speciali”

E’ un po’ che lo diciamo. Ma naturalmente erano tutte balle populiste e razziste. Anche in Ticino, anche a Lugano ci sono problemi di jihadismo ed estremismo islamico. Qualche tempo fa su queste colonne avevamo pubblicato l’intervista al padre di un giovane, cresciuto a Lugano e partito per la Siria, dove presumibilmente è morto, dopo essere stato radicalizzato. Radicalizzato da persone che può avere incontrato solo qui da noi. Quindi i predicatori della guerra santa li abbiamo in casa.

Il kickboxer che si allenava a Canobbio
Ed infatti nei giorni scorsi nelle rete degli arresti effettuati in Lombardia e Piemonte è finito anche il kickboxer Moutaharrik che frequentava una palestra a Canobbio. Mentre nel settembre 2015 il Consiglio di Stato aveva revocato il permesso di dimora ad un altro simpatizzante dell’ISIS, tale Oussama Kachia, il “jihadista di Viganello” di cui Moutaharrik era molto amico.

L’accusa rivolta al kickboxer è quella di essere coinvolto nella pianificazione di attentati a Roma. Inoltre il 28enne aveva deciso di andare in Siria a combattere la guerra santa con la moglie e i figlioletti.

Da notare anche le reazioni dei conoscenti di Moutharrik, che parlano di un “ragazzo bravo e tranquillo”. Embè, cosa vi aspettavate? Che i soldati del califfato girassero con scritto “jihadista” in fronte? La dissimulazione è la prima tattica da utilizzare per infiltrarsi tra gli “infedeli”.

Non solo Parigi e Bruxelles
Che lezione trarre da questa inquietante vicenda? Che i terroristi islamici non esistono solo a Parigi o a Bruxelles. Ci sono anche da noi. Ben più vicini di quello che pensiamo. E ben più vicini di quello che pensiamo ci sono, evidentemente, quelli che convertono queste persone all’integralismo.
Ecco i bei regali della fallimentare multikulturalità e della politica delle frontiere spalancate. Ecco cosa succede ad aprire le porte a chiunque e a tollerare la presenza di immigrati non integrati che non si sognano di adeguarsi alle nostre regole, ma vogliono imporre le loro. Ecco dove si va a finire quando si sacrifica la sicurezza interna sull’altare delle scellerate “aperture”.

A questo punto ci piacerebbe sapere quante persone in Ticino sono tenute sotto osservazione per presunti contatti con il califfato.

Chi combatte l’ “intelligence?”
E’ quindi evidente che, in campo di terrorismo islamico, non siamo un’isola felice. Dunque occorre che tutti tengano gli occhi aperti. La polizia e i servizi segreti, evidentemente. Ma anche i comuni cittadini. A proposito: chi ha lanciato il referendum contro la nuova legge sui sistemi informativi, quella che dovrebbe dotare l’ “intelligence” svizzera dei mezzi necessari a svolgere in modo efficace i propri compiti? Ma i kompagni spalancatori di frontiere, naturalmente! Perché bisogna tutelare la privacy dei sospetti terroristi islamici!

Moschee da sorvegliare
Altrettanto ovvio è che, vista la situazione, i luoghi di culto islamici devono diventare giocoforza dei sorvegliati speciali. Anche da noi. Gli svizzeri con il divieto di minareti – proposto ora anche in Germania dalla presidente di AFD, Frauke Petry – hanno dato il segnale: non accettiamo simboli di conquista islamica perché non vogliamo essere terra di conquista. Ma, naturalmente, non basta vietare i minareti. Bisogna anche sapere chi finanzia le moschee. Perché, in base al principio del “chi paga comanda”, è chiaro che chi fornisce i fondi ai luoghi di culto stabilisce anche il messaggio che essi devono veicolare. E se i finanziamenti arrivano da paesi o associazioni vicine all’estremismo islamico…
Per questo chi scrive, nella sessione speciale del Consiglio nazionale tenutasi la scorsa settimana, ha presentato una mozione che chiede di vietare i finanziamenti esteri per le moschee, di introdurre un obbligo di trasparenza sui fondi a disposizione e sul loro utilizzo, ed anche di imporre che le prediche si tengano nella lingua del posto.
Lorenzo Quadri