A Basilea il primo processo per questo reato: e l’autore viveva da noi da 30 anni!
Grazie, spalancatori di frontiere, multikulti e naturalizzatori seriali! Di recente a Basilea si è tenuto quello che probabilmente è il primo processo in Svizzera per il reato di matrimonio forzato. Protagonista, ma guarda un po’, un musulmano definito come “osservante”, cittadino turco 48enne residente in Svizzera da 30 anni e naturalizzato dopo aver sposato una donna elvetica.
Nuovo reato
Il processo è il primo nel suo genere anche perché il reato di matrimonio forzato esiste nel codice penale svizzero solo dal 2013. Grazie alle frontiere spalancate, al multikulti e al “devono entrare tutti” dobbiamo addirittura inventarci dei nuovi articoli del Codice penale per sanzionare comportamenti delinquenziali d’importazione, estranei alla nostra realtà. Ma naturalmente al proposito i moralisti a senso unico tacciono! Citus mutus!
Il fatto che quello di Basilea sia il primo processo in Svizzera per matrimonio forzato ovviamente non vuole per nulla dire che sia il primo caso che si verifica alle nostre latitudini. Il tasso di omertà per questo tipo di reati è elevato. E’ quindi chiaro che emerge solo la punta dell’iceberg.
“Bisogna accogliere”
Il galantuomo in questione voleva costringere a matrimoni forzati entrambe le figlie (nella seconda si è rimasti a livello di tentativo); eppure era cittadino svizzero e viveva nel nostro paese da 30 anni: la maggior parte della sua vita. Ciò significa che in tre decenni costui non si è mai integrato, ma ha continuato a vivere secondo indegne regole incompatibili con la nostra società. La quale glielo ha lasciato fare. Perché “bisogna aprirsi”, “bisogna accogliere”. Guai ad imporre qualcosa ai migranti: è roba da populisti e razzisti!
Peggio di tutto, il bellimbusto è pure diventato svizzero. Ecco la lampante dimostrazione che, per via agevolata o ordinaria, si naturalizza anche gente che l’integrazione non sa nemmeno dove sta di casa. Il passaporto svizzero viene regalato a soggetti che con la Svizzera non hanno assolutamente nulla a che vedere. Abbiamo qui un esempio plateale che dimostra come il tempo trascorso nel nostro Paese non sia affatto garanzia di integrazione. Questo perché, grazie al fallimentare multikulti – difeso ad oltranza dalla partitocrazia, dall’élite spalancatrice di frontiere, dalla stampa di regime, dagli intellettualini da tre e una cicca – un estremista islamico non integrabile può vivere indisturbato per tre decenni in Svizzera come se fosse ancora nel paese d’origine. Ed acquisire pure il passaporto rosso. Si è tollerata la creazione, in casa nostra, di società parallele. E adesso arriva il conto.
Qualche dubbio…
Se fossimo poi negli amici basilesi, qualche dubbio comincerebbe a venirci. Infatti è sempre in quell’area che si è verificato il caso dei due ragazzotti musulmani che rifiutavano di dare la mano alla docente perché donna. Anche loro, ma guarda un po’, erano in lista d’attesa per l’attribuzione del passaporto rosso. Poco ma sicuro che l’avrebbero ottenuto, se la vicenda della stretta di mano negata non fosse diventata di pubblico dominio. Poi c’è ancora chi ha il coraggio di dire che le naturalizzazioni facili sono una balla populista e razzista!
Il problema delle naturalizzazioni facili di stranieri non integrati si pone con ancora maggiore urgenza dopo il voto favorevole alle naturalizzazioni quasi automatiche dei cosiddetti stranieri di terza generazione (che non sono affatto quello che la definizione, truffaldina, vuole far credere). Il caso del padre padrone islamico condannato per matrimonio forzato dimostra che non basta aver trascorso in Svizzera la maggior parte della propria esistenza per essere integrati. L’eminente politologo italiano Giovanni Sartori, recentemente scomparso, ha dichiarato: “Siamo al disastro perché ci siamo illusi di integrare l’islam” e “dal 630 d.C. in avanti la Storia non ricorda casi in cui l’integrazione di islamici all’interno di società non-islamiche sia riuscita.
Tanto più che, lo ripetiamo, la cittadinanza svizzera, una volta concessa, è di fatto irrevocabile.
La domanda
La domanda a cui dobbiamo arispondere è sostanzialmente semplice: vogliamo continuare a tollerare, in nome del multikulti, delle frontiere spalancate e del “devono entrare tutti”, che in Svizzera ci siano delle società parallele che seguono regole del tutto incompatibili con le nostre? E magari, tanto per farci meglio prendere per i fondelli, esponenti di queste società parallele li vogliamo pure premiare con la concessione del nostro passaporto, con tanto di diritto di voto ed eleggibilità?
Lorenzo Quadri