Fiscalità dei frontalieri: il nuovo accordicchio, magnificato dalla casta, è una ciofeca

Con la frettolosa rottamazione del segreto bancario per i clienti esteri della piazza finanziaria, la Svizzera ha perso – oltre a svariate migliaia di posti di lavoro e ad ingenti introiti fiscali – pure molti argomenti nelle trattative con l’Italia; se si arriverà all’effettiva entrata in vigore del “nuovo” accordo sulla fiscalità dei frontalieri (versione dicembre 2020) perderà anche quei pochi che ancora le rimangono.

La partitocrazia presenta il nuovo trattato come una figata pazzesca. Ovviamente nel tentativo di spacciare per un “successo negoziale” un risultato  (l’accordicchio-ciofeca) che è ben lungi dall’essere tale.

Occorre infatti ricordare tre cose:

1) La famosa Convenzione del 1974 era il prezzo da pagare all’Italia affinché riconoscesse il segreto bancario svizzero. Ma ormai il segreto bancario per i clienti esteri non esiste più da un pezzo. Ed in prima fila ad attaccarlo ci fu proprio l’Italia (vedi i fiscovelox dell’ex ministro delle finanze Giulio Tremonti). Roma ha inserito la Svizzera su liste nere, continuando però ad incassare i ristorni delle imposte alla fonte dei frontalieri, che attualmente ammontano a quasi 100 milioni di franchetti.
2) La prima beneficiaria del nuovo accordo non è certamente la Svizzera. E’ l’Italia, che incamererebbe, in prospettiva, centinaia di milioni di imposte in più.
3) Il Lussemburgo, stato membro UE, non versa alcun ristorno a Francia e Germania per i frontalieri di quei paesi attivi sul proprio territorio. Non si vede perché la Svizzera, che della fallita UE non fa parte, dovrebbe essere più generosa con l’Italia.

Effetto antidumping? Tra decenni…

Il nuovo regime fiscale, secondo il quale la Svizzera incasserebbe l’80% delle imposte alla fonte dei frontalieri (oggi il 61,2%), ammesso che il parlamento italiano lo approvi nei tempi annunciati ossia nel corso del 2022, si applicherebbe solo ai nuovi frontalieri:  quelli assunti a partire dal 2023. Gli altri godranno del più vantaggioso regime attuale fino alla pensione. Visto che di frontalieri in Ticino ce ne sono già 75mila, c’è da chiedersi a quanti altri permessi G il triciclo intende spalancare le porte del mercato del lavoro cantonale, a tutto danno dei residenti, ed in particolare dei giovani ticinesi che infatti emigrano. Prima di giungere ad un numero preponderante di frontalieri tassati secondo le nuove regole,trascorreranno decenni. Quindi anche l’auspicato “effetto antidumping” generato dalla maggiore pressione fiscale sui permessi G si farà attendere a lungo.

Piccolo dettaglio: la formulazione prevede che la Svizzera possa incassare al massimo l’80% dell’imposta alla fonte. Vedremo se non arriveranno le richieste di sconto, che naturalmente verranno accolte da Berna in nome del buon vicinato.

Intanto paghiamo di più

Fino al 2034 il Ticino dovrà versare i ristorni. 12 anni sono un’eternità. Perfino il Consiglio federalereputa insoddisfacente una simile tempistica. In questo lungo lasso di tempo, di cose ne possono cambiare parecchie. Intanto però il nostro Cantone dovrà versare il 40% dell’imposta alla fonte (attualmente, dal 1985, il tasso è del 38.8%) ed il  moltiplicatore comunale applicato ai frontalieri dovrà scendere di una ventina di punti percentuali dall’attuale 100%. Questo significa meno incassi per l’erario ticinese.

Negoziati al ribasso

E’ quindi manifesto che, per  l’ennesima volta, Berna ha negoziato al ribasso. Il Ticino ne fa le spese. E’ successa la stessa cosa con la Convenzione del 1974. La storia si ripete.

Inoltre il nuovo trattato una definizione di frontaliere  diversa (residente in un Comune in un raggio di 20 km dal confine, l’elenco lo dovranno stabilire i paesi firmatari) da quella contenuta negli accordi bilaterali. Bisognerà chiarire quali saranno le conseguenze pratiche di questa divergenza. Il titolare di un permesso G che risiede al di fuori della fascia interessata dal nuovo accordo verrà imposto solo in Svizzera, e quindi pagherà meno tasse rispetto agli altri? Ci sarà la corsa alle domiciliazioni farlocche in comuni italiani collocati al di fuori della portata territoriale del trattato?

Questione irrisolta

L’accordo sui frontalieri è solo un capitolo della road map stabilita con l’Italia nel 2015, che però il Belpaese ha ben pesto messo nel dimenticatoio. Rimane irrisolta la questione dell’accesso al mercato finanziario italiano da parte degli operatori svizzeri. Che era uno dei temi principali della road map. Accesso che oggi non è dato per scelta deliberata dell’Italia, la quale – diversamente da altri Paesi UE – prevede l’obbligo di succursale. Il che significherebbe spostare impieghi dal Ticino ad Oltreramina.

Ed è chiaro che, se si approva l’accordicchio-ciofeca che Berna ha negoziato al ribasso, la questione del mercato finanziario sarà definitivamente spazzata via dal tavolo. Perché la Svizzera di argomenti da far valere non ne avrà più. E il Belpaese avrà intanto ottenuto tutto ciò che gli interessava.

Lorenzo Quadri