Il governo ginevrino da il là e scrive a Berna
Gli altri Consigli di Stato, a partire dal nostro, si uniscano alla richiesta! Ricordiamo che alla Stampa l’80% dei detenuti è straniero e che un carcerato, secondo le indicazioni ufficiali del CdS, costa alla collettività 330 Fr al giorno
Il Consiglio di Stato ginevrino, che non è propriamente un gremio di populisti razzisti e xenofobi, ha avuto il coraggio di chiedere formalmente al Consiglio federale quello che pensano in tanti. E lo pensano giustamente.
L’esecutivo di Ginevra chiede che i detenuti stranieri vengano mandati a scontare la pena nel paese d’origine. A dare il là è all’iniziativa è stato il sovraffollamento delle carceri ginevrine; che ovviamente provoca numerosi problemi all’autorità cantonale.
In Ticino, come ha dovuto ammettere il Consiglio di Stato rispondendo ad un’interrogazione del parlamentare leghista Massimiliano Robbiani, l’80% dei detenuti alla Stampa sono stranieri. Una percentuale che sale al 90% se si considera anche il carcere giudiziario de LaFarera.
Mandando i detenuti stranieri a scontare la pena nel paese d’origine le carceri elvetiche si svuotano. Ma come, gli stranieri che delinquono non dovevano essere tutta un’invenzione della Lega populista e razzista? E non ci si venga a raccontare la storiella dell’accresciuto pericolo di fuga o altre amenità analoghe per giustificare una percentuale di detenuti stranieri che ha una sola spiegazione: grazie alla politica delle frontiere spalancate e del “venghino siori venghino” ci siamo riempiti di delinquenti stranieri.
Attrattore
Il colmo è che il nostro sistema carcerario, invece di essere un deterrente per questo tipo di “migrazione”, è semmai un attrattore. La Stampa, con i suoi menu con carne due volte al giorno – per fortuna il Consigliere di Stato Gobbi è intervenuto – e pure la possibilità di scegliere il menu per detenuti musulmani (invece di rimandarli a casa loro, gli si prepara addirittura il pranzo su misura, in nome della multikulturalità) se paragonata alle prigioni del resto del mondo è una struttura alberghiera.
Per lo straniero che commette reati in Svizzera è una situazione win-win: se va bene faccio i miei “affari”. Male che vada, sto nel carcere deluxe.
Il lavoro non manca
Va poi detto che il dato sulla popolazione straniera nelle nostre prigioni è ulteriormente taroccato dalle naturalizzazioni facili. Bisognerebbe inoltre avere una statistica del tipo di permesso di cui dispongono gli ospiti stranieri alla Stampa. Così, tanto per tappare la bocca e quelli che continuano a ripetere il mantra dell’ “immigrazione uguale ricchezza”.
E’ chiaro che, in materia di rinvio di detenuti stranieri a scontare la pena nel loro paese, di lavoro da fare ce n’è molto. Con parecchi Stati non c’è neppure una convenzione al proposito. Da notare che a non pochi di questi Stati che si rifiutano di riprendersi i propri delinquenti il contribuente elvetico continua a versare congrui aiuti internazionali. Ma quando si propone a Berna di vincolare il pagamento di questi aiuti alla sottoscrizione di convenzioni (non solo in materia di criminali ma anche, ad esempio, di finti asilanti) ecco che i politikamente korretti spalancatori di frontiere strillano allo scandalo e al razzismo.
E c’è anche una questione di costi. Secondo i dati ufficiali forniti dal Consiglio di Stato, un detenuto costa 330 Fr al giorno; una camera in un albergo a 5 stelle costa meno.
Quindi il contribuente ticinesotto non solo si trova i delinquenti stranieri in casa, ma paga pure i loro costi di carcerazione. Dovesse anche, nell’ambito di un accordo internazionale, prendersi a carico i costi di detenzione nel paese d’origine, non si arriverebbe comunque mai a simili cifre! E soprattutto, si eliminerebbe l’effetto attrattore “carcere svizzero di lusso”.
E il nostro CdS?
Il Consiglio di Stato ginevrino ha aperto la strada. Speriamo che molti, anzi tutti gli altri governi cantonali seguano l’esempio. A partire dal nostro: come detto alla Stampa l’80% dei detenuti non ha il passaporto rosso. Obiettivo: rendere l’azione collettiva, di modo che gli scienziati bernesi si vedano “costretti” ad agire.
Lorenzo Quadri