Inno nazionale a scuola: una bella conquista

L’obbligo di insegnare l’inno nazionale a scuola è una conquista dall’alto valore simbolico. Lo dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, il coro di reazioni stizzite e campate in aria dei contrari. Costoro, il cui orientamento politico è sempre il $olito, vedono in qualsiasi affermazione della nostra identità un attentato al lavoro di sfascio del paese da loro portato avanti negli ultimi decenni. Decenni di lavaggio del cervello da parte di autoproclamati detentori di un’autocertificata, ma del tutto inesistente, autorità morale. Secondo lorsignori, della Svizzera bisogna sempre e comunque parlare male. Perché svizzero è brutto. Bello – sempre secondo lorsignori – è “aprirsi”; bello è spalancare le frontiere; bello è essere “multikulturali”; bello è non solo accettare, ma addirittura accogliere a braccia aperte (e soprattutto a borsello aperto) un’immigrazione del tutto incontrollata; e via elencando.

Tale politica –  spacciata senza alcun motivo per “moralmente superiore” quando in realtà è solo catastrofica – più che danni non ha fatto. In tutta l’Europa occidentale la popolazione sta pagando a carissimo prezzo il totale fallimento del multikulturalismo. Multukulturalismo che è stato imposto a colpi di biechi ricatti morali: “se ti opponi sei un becero razzista e noi – presunti sostenitori della tolleranza e dell’integrazione – ti criminalizziamo e ti ghettizziamo”.

L’opinione pubblica, anche svizzera, si sta rendendo conto di avere gettato alle ortiche, in nome del politikamente korretto, la propria identità, il proprio orgoglio nazionale, la propria sicurezza, il proprio mercato del lavoro: in sostanza il proprio futuro. Ma per fortuna si sta ora riaccendendo la volontà di riappropriarsene: ciò che gli sfascisti (nel senso di sfasciare) non possono in nessun caso accettare. E tentano, pertanto, di demonizzare con i soliti triti argomenti. Ben lo dimostra lo sconclusionato agitarsi contro l’inno nazionale a scuola. Chi dice, come taluni kompagni non patrizi di Maglio di Colla, che in Svizzera ci vorrebbero tre inni, dimostra di non aver capito niente della Svizzera. Chi poi, sotto l’etichetta di “libero pensatore” – che in realtà si traduce con “laicista talebano” – tenta di buttarla sul religioso, esterna solo le proprie personali ossessioni/fissazioni.

La realtà è che l’obbligo dell’inno è un passo – si potrà dire piccolo, si potrà dire grande – verso la rivalutazione della nostra identità, delle nostre specificità e della nostra svizzeritudine. Quindi una deviazione netta dal principio del politikamente korretto. Quello che impone che della Svizzera bisogna sempre parlare male. Che smacco per certa classe sedicente (ma proprio solo sedicente) “intellettuale”! Ecco perché l’inno nazionale, come pure l’iniziativa per l’insegnamento della civica nelle scuole (iniziativa che è riuscita in una settimana, un record inaudito), suscita tanto scomposto –  e $inistro – agitarsi.
Agitarsi, si noti bene, condito dalla consueta manfrina del “falso problema”. Bene, se si tratta davvero di “falso problema”, perché kompagni e radikal-chic strillano tanto?
Lorenzo Quadri