Se un domani vi obbligassero ad abbonarvi – ovviamente pagando – ad un giornale che non vi interessa, sareste contenti? E se per giustificare l’obbligo vi dicessero che non siete costretti a leggerlo, basta che paghiate; una spiegazione del genere vi soddisferebbe?
Eppure è proprio quello che si vuole fare con la modifica della Legge sulla radiotelevisione, in votazione il prossimo 14 giugno: obbligare tutti gli abitanti della Svizzera a pagare il canone radiotelevisivo. Anche se non possiedono un apparecchio di ricezione, perché non lo vogliono. Anche se non possono guardare la televisione o ascoltare la radio, perché, ad esempio, ci vedono o ci sentono poco. Oppure se vivono in luoghi discosti dove non “si riceve”.
Si è mai visto che qualcuno venga obbligato ad acquistare una prestazione di cui non vuole o non può usufruire? Lo si vedrà dopo il 14 giugno se passerà il canone obbligatorio per tutti.
“E’ più semplice”?
Si dice anche: a non possedere apparecchi di ricezione sono in pochi e allora è “giusto” (?) che anche quei pochi paghino, “perché così si semplifica”. Si usa la semplicità a giustificazione di un sopruso. Un po’ come dire: in Svizzera gli italofoni sono pochi. Allora aboliamo l’italiano come lingua nazionale, “così si semplifica”.
E’ evidente che simili ragionamenti non possono essere sdoganati tanto facilmente. Anche perché occorre chiamare le cose con il loro nome. Un sopruso rimane un sopruso anche se, nel tentativo di convincere, si ripete come una mantra che si tratta di una “soluzione equa”. Cosa ci sia di “equo” nel far pagare il canone a chi non può usufruire della prestazione che paga – e paga a caro prezzo – proprio non si capisce. E, sempre per chiamare le cose con il loro nome: un canone obbligatorio per tutti ha un nome specifico: imposta.
E’ infatti un’imposta, a beneficio della SSR, quanto la maggioranza politica federale – e ovviamente la SSR stessa – pretende di far approvare dal cittadino il prossimo 14 giugno. Una nuova imposta per finanziare la radiotelevisione pubblica. Ma attenzione: non un’imposta “normale”. Per aumentare le imposte “normali” occorre passare dal parlamento e, in caso di referendum, dal popolo. Per la nuova imposta pro-SSR no. Il Consiglio federale potrebbe aumentarla in tutta autonomia; a manina con l’azienda beneficiaria, ben s’intende. Senza che nessuno possa fare un cip.
L’imbroglio salta all’occhio
Ecco dunque che l’imbroglio salta all’occhio. Un’imposta che può essere pompata senza dover render conto a nessuno è destinata a crescere senza controllo. Ed è proprio quello che succederà col sedicente “canone obbligatorio”. Altro che “pagare meno”: la promessa di una “pillola” meno salata a giustificazione dell’ingiustificabile obbligo ad “acquistare” qualcosa che non si vuole è l’ennesima panzana. Lo slogan “pagare tutti per pagare meno” (che ricorda quello, altrettanto fallimentare del “lavorare meno per lavorare tutti”) è uno specchietto per le allodole. Il passato insegna che il canone radiotv, ben lungi dal diminuire nel corso degli anni – malgrado la popolazione svizzera, quindi gli utenti, sia aumentata e di conseguenza il gettito globale del canone – è diventato sempre più caro. In un quarto di secolo, l’aumento è stato di ben il 65%. Scusate se è poco.
Fuori controllo
E’ evidente che la SSR, con le entrate garantite da un’imposta che, assieme agli amici dell’Ufficio federale della comunicazione (e quindi del Consiglio federale) può alzarsi lei stessa senza ostacoli di sorta, sarà automaticamente svincolata da qualsiasi obbligo di gestione parsimoniosa delle risorse. Sicché: avanti con i progetti faraonici, con gli acquisti sballati, con le politiche megalomani. Tanto per pagare il conto si attinge in tutta libertà – “sans se gêner”, come dicono i francesi – dalle tasche del contribuente.
Un simile scenario non è auspicabile e nemmeno accettabile. Quindi, il prossimo 14 giugno, votiamo no alla creazione di una nuova imposta per finanziare la SSR. Ah, si abbia almeno il buon gusto di evitare di arrampicarsi sui vetri con la storiella dei computer, dei telefonini e dei tablet che possono accedere ad internet e quindi (?) ai programmi radiotelevisivi. Questi apparecchi non vengono acquistati per vedere (male) la TV. La loro finalità è ben diversa.
Lorenzo Quadri
Consigliere nazionale
Lega dei Ticinesi