Stranieri con permesso B che attingono al nostro Stato sociale
Le misure proposte sono insufficienti, ma vanno almeno nella giusta direzione. Il parlamento dovrà renderle ben più incisive
Il Consiglio federale ha presentato nei giorni scorsi alcune misure in materia di abusi nell’ambito della libera circolazione delle persone. In particolare vengono toccati i permessi B, per i quali ci saranno delle – moderate, figuriamoci… – restrizioni.
In sostanza, così recita l’informativa ATS, «i titolari di un permesso B potranno rimanere in Svizzera anche se disoccupati, se dimostrano di cercare attivamente un lavoro e hanno possibilità di essere assunti. In caso contrario, perdono il diritto di dimora sei mesi dopo lo scadere del permesso o al termine delle indennità di disoccupazione, se sono rimasti senza lavoro durante i primi 12 mesi di permanenza in Svizzera. Se invece l’attività lucrativa cessa dopo il primo anno, potranno rimanere altri sei mesi dopo aver estinto il diritto alle indennità di disoccupazione».
Chiaramente, queste proposte all’insegna dello slalom, del compromesso ad oltranza e del contorsionismo elevato a sistema non sono sufficienti. Costituiscono comunque un passo, piccolo, nella giusta direzione. Non c’è dubbio che arriverà lo spalancatore di frontiere di turno a lamentarsi snocciolando il solito mantra della chiusura e della xenofobia, che ormai non impressiona più nessuno (magari sarebbe ora di cambiare di musica).
Al proposito alcune considerazioni.
1) Ma come, gli stranieri che abusano della nostra socialità non erano tutta un’invenzione della Lega populista e razzista? Non essendo ancora del tutto arteriosclerotici, qui in via Monte Boglia ci ricordiamo bene quanto avevamo detto e scritto prima di ogni consultazione popolare in materia di libera circolazione delle persone. Ossia che essa avrebbe permesso a cittadini UE di arrivare in Svizzera e di staccare il permesso B affermando di avere un lavoro (magari pure “di comodo”) e di perderlo poco dopo, per poi mettersi a tempo indeterminato a carico del nostro Stato sociale: disoccupazione prima (è sufficiente “dimostrare” di aver lavorato nell’Unione europea per un tempo sufficiente ad aprire un termine quadro in Svizzera) e assistenza poi. Naturalmente non era vero nulla, erano tutte balle populiste, non si sarebbe mai verificato niente del genere. Ed infatti, ecco che il Consiglio federale si ritrova a prendere in fretta e furia delle misure proprio per sventare il fenomeno inesistente che avrebbe dovuto essere il parto di fantasie malate. Ma guarda un po’.
2) Gli stessi paesi UE, vedi Germania e Belgio, prendono misure ben più incisive di quelle proposte dal Consiglio federale. Noi che nella fallita unione europea non siamo, noi che il 9 febbraio abbiamo votato contro l’immigrazione di massa, ci troviamo a fare i soliti buonisti. Oltretutto ottenendo, a mo’ di ringraziamento, di venire denigrati e presi a pesci in faccia da chi fa ben altro.
3) E’ almeno positivo che con la proposta del Consiglio federale si dovrebbe per lo meno limitare la presenza di permessi B in assistenza. Che non sono pochi.
4) Le misure proposte sono, come detto, insufficienti. Non si capisce in effetti dove sia la novità rispetto a quanto si può già fare ora, con tanto di sentenze del Tribunale federale. Nota bene: il fatto che “si può fare” non significa che si faccia effettivamente. Il Ticino nel tener qui a nostro carico permessi B in assistenza è particolarmente largheggiante; e per questo ci sono dei precisi responsabili nelle alte sfere del DSS, passate e presenti.
5) Cosa avrebbe dovuto fare il Consiglio federale? Per lo meno stabilire un paio di cose facili facili:
– Al titolare di un permesso B che cade in assistenza il permesso va ritirato in ogni caso al momento della caduta in assistenza: è infatti chiaro che ha perso lo statuto di lavoratore.
– A chi ha ottenuto il permesso B da poco tempo (ad esempio: da meno di un anno), in caso di perdita dell’impiego il permesso va ritirato subito: quindi niente disoccupazione e ritorno al paese d’origine.
– Il permesso B non è rilasciato se lo straniero in questione non è in grado di mantenersi con la propria attività professionale senza pesare in alcun modo sullo stato sociale. Il che significa, tanto per fare l’esempio più scontato, che il richiedente deve essere in grado di fare a meno anche dei sussidi per la riduzione del premio di cassa malati.
Intanto è chiaro che la concretizzazione della proposta appena messa in consultazione del Consiglio federale non sarà per domani: sarà dunque compito del parlamento renderla assai più restrittiva. Questo anche nel rispetto della volontà popolare espressa il 9 febbraio.
Lorenzo Quadri