Come c’era da aspettarsi, la maggioranza del Gran Consiglio ha approvato il controprogetto all’iniziativa che chiede l’introduzione di un divieto di dissimulare il volto, meglio nota come iniziativa antiburqa. Il controprogetto prevede sì un divieto, ma solo a livello di legge e non di costituzione.
Si potrebbe dire che è sempre meglio che nessun divieto.
La nuova disposizione è stata approvata con 41 sì, 25 no e 15 astenuti. Il politikamente korretto, evidentemente, fa ancora breccia. Tuttavia perfino nel Gran Consiglio ci si rende conto che in votazione popolare l’iniziativa – lanciata dal Guastafeste e sostenuta da un gruppo interpartitico – ha delle ottime chance di riuscita. Per cui i deputati hanno verosimilmente pensato che fosse meglio restare abbottonati.
Si ricorderà che nel parlamento cantonale la mozione che chiedeva l’introduzione di un divieto di costruire minareti, presentata dal sottoscritto e dai due cofirmatari Andrea Giudici e Eros Mellini, venne bocciata a larga maggioranza. Quando tuttavia lo stesso quesito venne sottoposto al popolo ticinese, il responso fu un assenso massiccio.
Il parlamento, che dovrebbe rappresentare il popolo, ha dunque avuto modo di rimediare una figura barbina. Forse memore di tale precedente poco edificante, il Gran Consiglio questa volta ha pensato di correggere il tiro prima di fare il bis. Ben sapendo che, se non avesse dato il contentino agli iniziativisti, sarebbe stato sconfessato alla grande dal voto popolare. Da qui il sì all’introduzione del divieto di burqa nella legge.
Di contentino tuttavia sia tratta. In effetti l’inserimento nella legge viene argomentato invocando  semplici questioni di sicurezza (camuffarsi il viso permette di commettere reati ostacolando l’identificazione dell’autore). Quello della sicurezza, tuttavia, è solo uno degli aspetti che l’iniziativa popolare ha voluto sollevare. Ma, se avessero voluto un semplice divieto di legge per motivi di sicurezza, gli iniziativisti non avrebbero lanciato un’iniziativa costituzionale e raccolto 12mila firme. Probabilmente per ottenere quanto graziosamente accordato dal legislativo cantonale, sarebbe bastato chiedere ad un gruppetto di deputati di presentare un’iniziativa parlamentare. Senza bisogno di raccogliere firme.
Quello che vuole l’iniziativa è un divieto di burqa  inserito nella Costituzione. Un divieto di questo genere può essere cancellato solo tramite votazione popolare. Una semplice legge, invece, la modifica (o abroga) il parlamento. Del quale non ci si può in nessun modo fidare. In nome del ben noto politikamente korretto, non ci metterebbe che pochi mesi per cominciare ad alterare, inventandosi scuse di vario genere, il divieto contenuto nella semplice legge, che risulterebbe ben presto svuotato di significato. Specie in presenza di pressioni internazionali.
Si tratta quindi di mettersi al sicuro da prevedibili furbate. Si tratta però anche di una questione di principio. Il divieto di portare il burqa non è solo una questione di sicurezza. E’ una questione culturale che va inserita tra i diritti fondamentali. Si tratta di chiarire che la libertà religiosa non può essere abusata per introdurre regole incompatibili con il nostro Stato di diritto. Si tratta di chiarire che sdoganare, autorizzando il burqa, la sottomissione della donna che tale indumento comporta e simboleggia, significa spalancare la porta allo smantellamento delle nostre libertà fondamentali – conquistate a caro prezzo e dopo secoli di lotta – in nome della fallita e catastrofica multikulturalità.
Ci sono invece valori fondanti della nostra società che vanno difesi ed affermati. Senza compromessi. Senza cedimenti.
Lorenzo Quadri