Ma guarda un po’: ecco che “improvvisamente” spuntano le cifre sui costi delle trasmissioni della RSI. Cifre che, a quanto pare, sono state sempre negate perfino al Comitato del Consiglio regionale della CORSI. Al quale, come figura nel suo sito, compete “di stabilire (…) la distribuzione delle risorse finanziarie fra le varie reti e aree di programma”. Questo è assai inquietante. Oltre che indicativo del ruolo, o piuttosto del non ruolo, della CORSI. Se un CdA non può neanche vedere i costi dell’azienda, a cosa serve? La domanda, evidentemente, è retorica. La risposta è nota. La CORSI non serve ad un tubo. E’ una semplice foglia di fico, creata per dare l’impressione che ci sia un legame tra l’azienda e il Paese e che quest’ultimo – che paga il canone più caro d’Europa – abbia qualcosa da dire. Ma in realtà non è così. Infatti la Lega è uscita dalla CORSI. E lo ha fatto a ragion veduta.
Non ci sono margini?
Adesso però i costi delle trasmissioni sono stati resi noti. E – per la serie: a pensar male si commette peccato eccetera – si capisce perché non li si è voluti divulgare in precedenza. Infatti le cifre pubblicate sono tali da far aggrottare più di un sopracciglio (si può dire così, direttore nonché kompagno militante Maurizio Canetta, o è offensivo?).
Falò costa 150mila fr a puntata che in totale fanno 7 milioni e mezzo di franchi all’anno (sic!). Patti Chiari 114mila, SQuot 51mila. Al Quotidiano sono destinati 11 milioni all’anno mentre 11.6 al Telegiornale: e se si pensa che quest’ultimo non perde occasione per fare propaganda Pro-UE e pro-frontiere spalancate, una qualche domandina nasce spontanea.
La lunga lista è stata pubblicata nei giorni scorsi su vari organi d’informazione, e non ha senso ripeterla.
Sostenere che a fronte di costi di questo genere non ci siano margini di risparmio, ossia che non è possibile fare televisione con meno soldi, appare assai poco credibile. Del resto basta pensare ai budget assai più limitati a disposizione delle emittenti private.
La coperta è corta
La coperta del servizio pubblico, allegramente utilizzata per giustificare di tutto e di più, si fa sempre più corta. Punto primo perché il servizio pubblico deve anche essere tale e non contenere propaganda di parte, quando invece quasi il 70% degli utenti ritiene che la RSI non sia imparziale sui temi politici. Ma evidentemente a Comano e a Besso il messaggio non passa. E c’è chi si crede chiamato alla missione (?) di convertire – con i soldi pubblici – i ticinesotti “chiusi e gretti” al masochismo internazionalista, politikamente korretto e buonista-coglionista.
Punto secondo, perché è un po’ facile raccontare che il servizio pubblico non si può fare senza il pubblico e quindi per creare l’audience (?) bisogna infarcire i palinsesti di giochini scemi e serie acquistate, senza che da qualche parte ci sia un limite. Forse, se non si fosse abusato del “servizio pubblico” per giustificare l’ingiustificabile, adesso non sarebbe in corso il dibattito politico a Berna sui confini di questo nebuloso concetto. Dibattito che rischia di trasformarsi in un vero e proprio boomerang sui denti della RSI. La quale comunque è un importante datore di lavoro in Ticino, ma non per questo autorizzata a prendersi qualsiasi licenza. A partire da quella di gestire il suo importante ruolo occupazionale in base alle solite logiche clientelari: assunzioni di interi gruppi familiari, di raccomandati di partito, di “parenti di”, eccetera.
Revisione dei compiti
La “revisione dei compiti dello Stato” vale per qualsiasi ente pubblico. RSI compresa. Per risparmiare bisognerà fare delle scelte e rinunciare a qualcosa. Ma soprattutto, l’azienda dovrà riguadagnare radicamento e credito nel territorio; quel territorio in cui la maggioranza dei cittadini ha posizioni diverse rispetto a quelle obbligatorie nella torre d’avorio di Comano e Besso. Se invece si crede di poter continuare spocchiosamente sulla strada attuale: tanti auguri! Specie in vista della votazione popolare sull’iniziativa No-Billag.
E gli altri 130 milioni?
Un’ultima osservazione. I costi dei programmi RSI sono molto eloquenti non solo per quello che dicono, ma anche per quello che non dicono.
Tirando le somme, i costi delle trasmissioni arrivano a circa 100 milioni all’anno. La fetta di canone di cui beneficia la RSI è di circa 230 milioni. Dove evaporano i 130 che mancano all’appello?
Lorenzo Quadri