In quel di Berna L’IVA sul canone radiotelevisivo è ancora, e giustamente, oggetto di discussione. Visto che ci sono di mezzo dei soldi indebitamente prelevati al cittadino, ci mancherebbe che la si mettesse via senza prete, “come se niente fudesse”. Tanto più che si tratta di recidiva. E’ infatti il caso di ricordare che continuiamo ad essere buggerati, e per cifre ben più importanti, anche sui premi di cassa malati.
La questione dell’IVA
Come noto lo scorso aprile il Tribunale federale ha stabilito che sul canone radiotelevisivo non si paga l’IVA. Ciò significa che agli utenti tale imposta è stata addebitata (estorta) indebitamente dall’Ufficio federale delle telecomunicazioni e dai suoi scagnozzi della Billag. Ma il prelievo non è diventato illecito all’improvviso. Lo era anche prima. Il canone non ha cambiato natura lo scorso aprile. Di conseguenza, l’IVA stuccata negli scorsi anni va restituita. Cosa che però chi l’ha prelevata, ossia la Confederazione, non si sogna di fare.
Ma non solo. Al danno si aggiunge la beffa. La revisione della legge sulla radiotelevisione, quella che ha reso il canone obbligatorio, partendo dal presupposto che l’IVA fosse dovuta anche prima, la cita esplicitamente. Questa revisione-ciofeca, dunque, senza le necessarie correzioni, oltre alle già note cappellate che ne hanno provocato la bocciatura da parte dei votanti ticinesi, contiene pure la base legale per un alleggerimento indebito delle sempre più vuote tasche dei cittadini. Sempre meglio!
I limiti
Tuttavia ci sono anche altri temi sul tappeto in relazione al canone radiotv ed al suo ammontare. Il canone dovrebbe infatti servire a finanziare il cosiddetto “servizio pubblico”. Di certo la propaganduccia politikamente korretta, a sostegno della fallimentare multikulturalità, dell’internazionalismo becero e delle frontiere spalancate che la RSI somministra agli utenti in dosi da cavallo non è servizio pubblico: è indottrinamento di $inistra. E per questo genere di “offerta” non abbiamo alcun motivo di pagare un centesimo bucato. Men che meno il canone più caro d’Europa.
Il problema, però, non è solo di contenuti. E’ anche di limiti. Da uno studio che l’ “Azione libertà di stampa” ha commissionato al professor Christian Hoffmann dell’Università di San Gallo emerge con prepotenza l’esistenza di vari doppioni tra la programmazione delle emittenti private e quella della SSR. Questo significa che la SSR si inserisce in un mercato che può essere coperto anche dal settore privato. E lo fa beneficiando del canone pubblico. Quindi fa concorrenza sleale ai privati. L’esempio più evidente è quello dell’offerta online.
Definire il mandato
Da qui la richiesta dell’Associazione che il mandato della SSR venga definito in modo chiaro ed il canone abbassato di conseguenza. E’ normale e corretto che il contribuente sia costretto a pagare il canone obbligatorio per prestazioni che potrebbe avere anche gratis? O per programmi che nulla hanno a che vedere con il servizio pubblico, vedi i giochini decerebrati? Questa la domanda di fondo. Evidentemente il ragionamento potrebbe portare a conseguenze estreme: le emittenti private sono in grado di fare più o meno di tutto. Ma dei limiti vanno posti. Soprattutto in considerazione dell’evolversi dei gusti e delle abitudini del pubblico. E allora i grandi scienziati della SSR faranno bene ad accorgersi che, ad esempio, i giovani la televisione non la guardano nemmeno più. Se del caso, si costruiscono il proprio palinsesto personale pescando qua e là da internet. Anche Maristella Polli, ex volto storico della RSI, in un contributo pubblicato su Opinione liberale si è posta il quesito: “I ragazzi con tablet e cellulari non usufruiscono quasi più del mezzo televisivo. E allora la domanda sorge spontanea: vale la pena investire in questo settore? L’intrattenimento così come proposto oggi dalla RSI ha ancora motivo di esistere?”. Anche la domanda successiva sorge spontanea: il cittadino deve essere ancora costretto a finanziare questo genere di prestazioni che manifestamente non sono di servizio pubblico, essendo di “intrattenimento” (?) ed oltretutto essendo pure senza pubblico?
La realtà è che la SSR si dimostra sempre più per quello che è: un gigantesco piano occupazionale, finanziato dal contribuente, e giustificato con argomenti chi si fanno vieppiù arrampicati e lontani dalla realtà che inesorabilmente evolve. Ciò non significa che un piano occupazionale sia una cosa negativa e che non abbia diritto di esistere. Però va trattato secondo regole diverse.
Lorenzo Quadri