Ma guarda un po’. Il Consiglio degli Stati insiste nel rifiutare ad oltranza l’introduzione di divieti di mascheramento in pubblico; anche solo per motivi di sicurezza. La scorsa settimana la Camera dei Cantoni è riuscita a respingere una mozione dell’udc svittese Peter Föhn che chiedeva l’introduzione di un divieto di nascondere il volto durante le manifestazioni. La bocciatura è avvenuta per 34 voti contro 7. E’ la nona volta che il Consiglio degli Stati assume una posizione di questo tipo.
Si tratta naturalmente di un segnale negativo, l’ennesimo da parte di un ramo del parlamento che si è già distinto per performance balorde, ad esempio i reiterati tentativi di allargare le maglie delle naturalizzazioni facili. Il tutto ovviamente all’insegna dell’internazionalismo e delle frontiere spalancate.
L’argomento sollevato da alcuni, ossia che il divieto generalizzato sarebbe contrario al federalismo poiché le misure di polizia sono di competenza dei Cantoni, è evidentemente una foglia di fico. La realtà è che i senatori non vogliono il divieto di mascheramento, nemmeno nella sua versione minimalista di misura di sicurezza; anche perché sanno bene che esso porterebbe al divieto di burqa. Quel divieto che i politikamente korretti vedono come fumo negli occhi: perché “bisogna aprirsi”, perché – questa è proprio il massimo – dobbiamo “integrarci all’islam”. Capita l’antifona? Noi dovremmo integrarci. Noi dovremmo cedere davanti ad immigrati provenienti da “altre culture”.
Questione di valori
Tuttavia, se davanti al Consiglio degli Stati sono arrivati 9 atti parlamentari che chiedono l’introduzione di un divieto di mascheramento del viso, magari un qualche motivo ci sarà. Magari ci sono delle richieste dal basso che vanno in questo senso. Ovvero quel genere di richieste, per cui la Camera alta diventa sempre più sorda.
Il divieto di mascheramento del volto è dettato da motivi di sicurezza, ma anche da altri argomenti di tipo ideale. In Svizzera non ci si nasconde dietro cappucci o dietro burqa. Si tratta dunque di affermare, promuovere ed anche imporre i nostri valori occidentali a chi pensa di trasferirsi da noi continuando però a vivere come se fosse nel paese d’origine (ma magari incassando i sussidi del nostro Stato sociale). In gioco ci sono i valori fondanti della nostra società, non noccioline. Valori incompatibili con i veli integrali che non possono, di conseguenza, avere diritto di cittadinanza.
In Ticino il 65,4% pro divieto
Come la pensi il cittadino ovvero il popolo sovrano in materia di burqa è noto. In Ticino il 65.4% dei votanti si sono espressi in settembre a favore del divieto di Burqa. Il popolo non vuole burqa & company e il Consiglio degli Stati farà meglio a prenderne atto ed a comportarsi di conseguenza. Nei prossimi mesi l’Assemblea federale sarà chiamata a concedere la garanzia costituzionale al divieto di burqa. In realtà si tratta di un non problema poiché non solo il divieto non lede in alcun modo la Costituzione ed in particolare la libertà di religione – il burqa non ha una giustificazione religiosa bensì tribale – ma ha proprio l’obiettivo di tutelare i nostri diritti fondamentali.
Naturalmente i politikamente korretti, fautori della svendita della Svizzera perché “bisogna aprirsi”, faranno di tutto per mettere i bastoni tra le ruote ad un’iniziativa contraria a quella che loro chiamano multikulturalità. Termine che si traduce, semplicemente, con “lasciar fare agli immigrati tutti i propri comodi proprio perché sono immigrati; mica vorremmo passare per populisti e razzisti?”.
Vogliamo vedere…
Vogliamo però vedere con che coraggio alle Camere federali tenteranno di annullare un voto del popolo ticinese, perpetrando così l’ennesimo schiaffo al nostro Cantone (e risparmiamo il lungo elenco di soprusi, dalla devastante libera circolazione delle persone di cui ci si ostina a negare le conseguenze deleterie al furto di 380 milioni sui premi di cassa malati, tanto per citare due esempi). Ci sarebbe davvero da scendere in piazza con i forconi.
In ogni caso, tanto perché i politikamente korretti si mettano l’anima in pace: i balivi bernesi non hanno chance di riuscire ad impedire la messa in vigore del divieto di burqa, come rileva il promotore dell’iniziativa Giorgio Ghiringelli. Nella peggiore delle ipotesi, il divieto entrerà in vigore nella legge e non nella Costituzione.
Lorenzo Quadri