“La Svizzera resterà sulle liste nere italiane ancora per parecchio tempo”. Parola di Consiglio federale, che risponde ad una interpellanza del consigliere nazionale PPDog Fabio Regazzi. Non che al proposito ci fossero molti dubbi, ma la risposta del governo toglie quei pochi che potevano sussistere, mettendo nero su bianco una situazione a dir poco imbarazzante. Imbarazzante in prima linea per il Consiglio federale stesso, ma in particolare per la quasi ex ministra del 4% Widmer Schlumpf ed il suo portaborse De Watteville. Ma come: già nel giugno del 2014 costoro millantavano di avere in tasca la soluzione all’annosa diatriba con la vicina ed ex amica Penisola, al punto da esercitare indebite pressioni sulla deputazione ticinese a Berna affinché quest’ultima esercitasse a sua volta pressioni (ma che razza di giro è?) sul consiglio di stato perché non bloccasse i ristorni dei frontalieri, rovinando così l’idilliaco ambiente italo-svizzero che nel giro di poche settimane avrebbe portato a soluzioni strabilianti nell’interesse del Ticino. Adesso, invece, citus mutus.
Black list rimangono al loro posto
La cruda realtà è che invece le liste nere su cui è stata inserita la Svizzera rimangono allegramente al loro posto, malgrado le calate di braghe compulsive in arrivo da Berna. La vicina Penisola ha sempre una scusa per penalizzarci. L’atteggiamento italiano è improponibile. Il Belpaese approfitta alla grande della devastante libera circolazione delle persone senza limiti, sbarra le porte ad eventuale reciprocità poi però si mette a strillare se il Ticino tenta di difendersi, ad esempio con l’estratto del casellario giudiziale. Arrivando fino alle grottesche sbroccate del governatore della Lombardia Maroni che invita i frontalieri a scioperare per un mese, a spese sue. Il vero scandalo è che, davanti a queste invereconde piazzate, il Consiglio federale non si schiera dalla parte del Ticino, ma da quella dell’Italia. E’ il mondo che gira al contrario. Ci sono centinaia di migliaia di cittadini italiani che portano a casa la pagnotta solo grazie alla prossimità con il Ticino, a danno del nostro mercato del lavoro sempre più squassato; però da sud hanno il coraggio di accusarci di “discriminare”. E a Berna danno corda! Poi però, con incredibile faccia di latta, gli amici bernesi pretendono di essere credibili quando ci vengono a raccontare, con aria affranta, la loro comprensione (?) per i problemi del nostro sempre meno ridente Cantone…
Privati dell’arma
I cedimenti elvetici non hanno in realtà permesso di conseguire alcun risultato apprezzabile. Il nuovo accordo sui frontalieri, così come ventilato lo scorso febbraio (ammesso e non concesso che vedrà mai la luce) porterà al Ticino vantaggi economici vicini allo zero; però – ed era evidentemente questa l’unica parte che interessava alla Penisola – lo priva dell’arma del blocco dei ristorni. Gli amici italiani, se mai aumenteranno le imposte dei frontalieri al livello di quelle pagate dei contribuenti che vivono e lavorano nella Penisola (e qui sì che c’è una discriminazione palese) si terranno tutti i vantaggi. Agli svizzerotti attribuiranno solo le colpe e nemmeno una fettina di torta.
La goccia nel mare
Nella sua risposta sopra citata, il Consiglio federale insiste nel parlare di trattative con l’Italia che procedono. Un’affermazione che diventa sempre meno credibile. Come poco credibile è la storiella dell’adeguato coinvolgimento ticinese in negoziazioni che toccano in prima linea noi. Le conseguenze delle toppate bernesi pesano sul nostro groppone. Al proposito, il governo dichiara serafico che “il Ticino potrà anche dire la sua durante la consultazione che avverrà tra la parafatura dell’accordo e la sua firma”. In sostanza, il nostro Cantone dirà la sua quando questa conterà come una goccia nel mare. Come dire: vi prendiamo per il lato B e ve lo veniamo pure a dire…
Lorenzo Quadri