Il Consigliere di Stato Norman Gobbi intende concretizzare il divieto di Burqa plebiscitato dal popolo nel 2013, in modo da farlo entrare in vigore per il 2015. Manca ancora il nullaosta di Berna ma, dopo la sentenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo secondo cui il divieto francese non lede alcun diritto fondamentale, la “garanzia costituzionale” che l’Assemblea federale è chiamata a concedere (uella) è ormai una mera formalità .
Vale la pena ricordare che la Corte europea è assai poco sospetta di filo leghismo. In effetti le sue principali performance consistono nello stabilire che delinquenti stranieri di vario ordine e grado non possono essere espulsi dalla Svizzera e rimandati a casa loro. Questo nonostante in Svizzera l’espulsione abbia passato tutti i gradi di giudizio. E sappiamo bene che il Tribunale federale – segnalatosi per l’inquietante tendenza a concedere ulteriori chance ad assassini pericolosi – di certo non ha il rinvio facile.
Storielle
Se quindi perfino la Corte europea dei diritti dell’Uomo ritiene che il burqa non leda né la libertà di religione né la libertà individuale, vuol dire che quanti si sono riempiti la bocca, in nome del politikamente korretto, con simili concetti nel tentativo di sabotare, ancora una volta, l’applicazione del voto popolare (favorevole al divieto di burqa) hanno raccontato un sacco di storielle. Le hanno raccontate con il solito obiettivo. Quello di delegittimare i promotori del divieto di burqa come razzisti e populisti. Sempre la stessa stucchevole manfrina.
Norman Gobbi ha fatto molto bene ad accelerare i tempi dando il via ai lavori preparatori per la messa in vigore di quanto votato dal popolo senza attendere la concessione della famosa garanzia costituzionale. In questo modo si guadagna tempo.
Con le pive nel sacco
Come detto, la sentenza sul divieto francese spazza via ogni dubbio. Non è certo un caso se i media nostrani di $inistra, quelli che si autocertificano “indipendenti”, hanno censurato, sminuito o addirittura volutamente travisato la notizia.
Alle Camere federali, i fautori della multikulturalità si sono visti segare l’erba sotto i piedi dalla sentenza di Strasburgo. Sono rimasti con le pive nel sacco. Da notare che i multikulturalisti hanno avuto il coraggio, in sprezzo del ridicolo ed insultando l’intelligenza del cittadino, di parlare del burqa come di un simbolo di libertà . Sì, certo: la libertà di sdoganare, in nome del politikamente korretto, l’oppressione della donna e, più in generale, la negazione dei nostri diritti costituzionali. La libertà di assecondare, in casa nostra, l’integralismo religioso e le usanze tribali. La libertà di trapiantare in Svizzera un modo di vivere incompatibile con i principi fondamentali che reggono il nostro Stato di diritto. Come abbiamo detto in più occasioni, chi vuole vivere come in Afghanistan lo fa in Afghanistan, non in Svizzera. Con tutto quel che ne consegue.
Divieto nazionale?
La sentenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo apre dunque le porte all’introduzione del divieto, già approvato dal popolo ticinese, in tutta la Svizzera. Se ciò accadesse, sarebbe una bella vittoria dei valori democratici occidentali. Che vanno affermati e difesi. In caso contrario, il multikulturalismo completamente fallito li smonta.
Lorenzo Quadri