Con tanto di “ritorsione” contro il Giornale del Popolo accusato di scatenare polemiche
Anche quest’anno non poteva mancare la polemica sul festival del film di Locarno. Il “casus belli”, come noto, è l’esclusione del film “Noun” della regista svizzera Aida Schläpfer. Un documentario incentrato su un tema che gli intellettualini di $inistra, quelli che hanno colonizzato la kultura, trovano decisamente poco sexy: il massacro dei cristiani in Iraq.
La polemica è stata innescata dal Giornale del Popolo: a ragione. Una ragione pagata poi con l’esclusione dall’incontro con Andy Garcia. Alla faccia della libertà d’espressione e delle tanto decantate “aperture”! Gli è che sui cristiani perseguitati, troppo spesso si chiudono gli occhi. Quanto alle critiche, il Festival sembra andarsele a cercare: potrebbe anche essere una strategia per creare attenzione. Dagli zombie gay al palco offerto a terroristi rossi, ma rifiutato ai cristiani massacrati in Iraq, pare impossibile che non si sia pensato alle conseguenze.
Specie nel caso di una manifestazione, come è il festival di Locarno, certamente della massima importanza per il Cantone, ma anche ampiamente foraggiata con soldi del contribuente. Non essendo venuti giù con l’ultima piena, sappiamo bene che Oltregottardo ci sono festival concorrenti, ad esempio quello di Zurigo, che hanno tutto l’interesse, pro saccoccia loro, a “farla” al Pardo. Ossia ad indebolire un evento ticinese per ingrassare il proprio: in primis scippando sponsor. Ma questa situazione non giustifica comunque atteggiamenti di stizzoso ricatto morale come quelli che la direzione della RSI adotta regolarmente. Per la serie: chi non è con noi è contro di noi, chi ci critica è “nemico del Ticino” e quindi ci possiamo permettere di tutto e di più e nessuno deve osare fare un cip.
Libertà artistica?
Anche sulla questione della “libertà artistica” – altro mantra politikamente korretto invocato con la massima libidine dai soliti intellettualini – è bene puntualizzare alcune cosette. Chi attinge, e alla grande, dalla mammella pubblica, si levi dalla testa di poter zittire le critiche di cittadini e politici con la storiella della libertà artistica, ovvero: “siamo artisti (?) e quindi, con i soldi pubblici, facciamo quello che ci pare; propaganda politico-partitica inclusa. E voi, beceri bifolchi, chiusi e gretti, che non fate parte della nostra casta, pagate e tacete”.
Nossignore. Ci mancherebbe che chi paga non potesse dire la sua. Gli intellettualini con la puzza sotto il naso saranno liberi di fare i loro comodi quando non dipenderanno dalle casse pubbliche e quindi dal contribuente per la loro sussistenza: quel contribuente su cui non di rado costoro amano scaricare, reggendosi la coda l’uno con l’altro, spocchioso disprezzo in quantità industriali.
Proiettato al Rivellino
I cittadini così come pure i politici – che nel nostro sistema di milizia sono cittadini proprio come gli altri – sono senz’altro legittimati a criticare scelte presunte “artistiche” delle manifestazioni che si trovano costretti a finanziare. Specie quando dietro l’argomentazione “artistica” si sospetta la motivazione politica (o politikamente korretta).
E poi, lo diceva già il Consigliere federale Couchepin, ministro della kultura: non si può fare cinema senza spettatori. Il documentario Noun di pubblico ne ha raccolto parecchio, grazie alla lodevole – e anche furba – iniziativa del Rivellino, che ha fatto serate di pienone proiettando il film che tutti ormai volevano vedere. Dal punto di vista del pubblico, quindi, il cortometraggio funziona, Anche in questo, rifiutandolo, il festival di Locarno ha perso un’occasione.
Non dimentichiamo “Submission”
C’è poi un precedente che non va dimenticato. Un precedente che risale a 10 anni fa, all’edizione 2005 del Festival di Locarno. Si tratta del caso di “Submission”: un cortometraggio di una decina di minuti, realizzato dal regista Theo Van Gogh, che denuncia la sottomissione della donna nell’Islam. Per questa sua coraggiosa opera, il cineasta olandese venne ammazzato in mezzo ad una strada da un fanatico musulmano, nel novembre 2004. Qui dunque abbiamo a che fare con un regista che la sua libertà artistica l’ha pagata con la vita. Un gruppo trasversale di deputati in Gran Consiglio chiese alla direzione del Festival di Locarno di riservare uno spazietto a Submission nell’edizione 2005. Ma l’allora direttrice del festival del film Irene Bignardi rifiutò, stizzita e scandalizzata. Eppure l’esecrato documentario toccava proprio quei temi che dovrebbero essere cari al festival, come la libertà d’espressione e la condizione femminile. Affrontati, però – e qui casca l’asino – dalla prospettiva politica sbagliata: quella non di $inistra. Si critica l’Islam? Scandalo! Islamofobi! Razzisti! Fascisti! Alle considerazioni di censura polico-ideologica si sono aggiunte, nel caso concreto, quelle dettate da prosaica fifa blu o cagarella che dir si voglia: ci imbavagliamo, in casa nostra, per paura di “reazioni” da parte di immigrati in arrivo da “altre culture”.
Per questo, chissà perché, quando certi ambienti parlano di “libertà artistiche”, si ha sempre il sospetto che tali libertà valgano solo per le cerchie “giuste”…
Lorenzo Quadri