Dopo oltre due anni il divieto di burqa in Ticino è dunque diventato una realtà. La votazione popolare si è infatti tenuta nel settembre del 2013. Si è tenuta sotto l’attacco del solito (vano) ricatto morale del populismo e del razzismo. E, naturalmente, all’insegna del mantra del “falso problema”. Peccato che chi, vedi certi organi di stampa, invocava il “falso problema” poi, a votazione avvenuta, ha versato fiumi d’inchiostro nel tentativo di sabotare, ancora una volta, la volontà popolare sgradita: vero, stampa di servizio?
Delle due l’una: o il burqa è un falso problema (e allora perché parlarne?), oppure è un problema vero, e a non andar bene è stata la risposta data dai ticinesi. Ossia, l’affermazione della necessità di difendere i nostri valori e i principi basilari del vivere civile in Occidente, peraltro sanciti anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che ha approvato il divieto francese.
Snobbare i cittadini?
Da tempo la popolazione ticinese si domandava come mai il divieto votato non fosse in vigore: questo genere di situazione è, ovviamente, deleteria per la fiducia del cittadino nei confronti delle istituzioni. Snobbare un voto popolare è proprio il miglior modo per confermare la tesi del “tanto i politici fanno sempre quello che vogliono”. Poi serve a poco lamentarsi che i cittadini disertano le urne, malgrado tutte le facilitazioni introdotte (vedi voto per corrispondenza). La decisione del Gran Consiglio che sancisce il divieto di dissimulazione del viso, almeno in questo, rimette la chiesa al centro del villaggio.
Segnale importante
Che il dibattito parlamentare si sia tenuto, ed il divieto sia stato approvato a larga maggioranza, proprio in questi giorni, è un segnale importante. Non ci può essere alcuna concessione al terrorismo islamico. Agli estremisti musulmani non va lasciato nemmeno un centimetro di terreno. Se per paura di “urtare” qualche immigrato in arrivo da “altre culture” rinunciamo anche ad una sola infinitesimale frazione delle nostre libertà, siano esse grandi o piccole, si tratti della libertà d’espressione o della minigonna, abbiamo già perso, e il terrorismo islamico ha vinto. Non ci può essere alcuna concessione sui nostri valori, sul nostro stile di vita e sulle nostre regole: la fallimentare illusione della multikulturalità è finita, il buonismo pure. I migranti in arrivo da “altre culture” devono adeguarsi alla nostra società; oppure, se non lo vogliono o non lo possono fare, tornare nei rispettivi paesi d’origine.
Chi si loda…
In Gran Consiglio il divieto di burqa è stato accettato a larga maggioranza: questo fa evidentemente piacere visto che, ai tempi della votazione popolare, le posizioni dei partiti storici erano ben diverse. Fa tuttavia leggermente sorridere la posizione dell’ex partitone, che ha divulgato uno sbrodolante comunicato stampa per complimentarsi con la relatrice Natalia Ferrara Micocci (se le cantano e se le suonano tra loro): grazie a lei, dicono i grandi comunicatori liblab, la volontà popolare diventa realtà. Peccato che il PLR il divieto di burqa non l’abbia mai sostenuto: suoi illustri esponenti hanno partecipato a dibattiti televisivi a difesa della posizione contraria all’iniziativa del Guastafeste. Considerare poi una notizia, e degna addirittura di un comunicato stampa dai toni estatici, il fatto che un relatore commissionale rediga un rapporto – ovvero che faccia semplicemente il proprio lavoro – è quanto meno bizzarro. Cosa ne pensano tutti gli altri deputati PLR che di rapporti ne hanno allestiti di ben più impegnativi, e meno gratificanti dal profilo della visibilità, di quello sulla legge antiburqa, e che mai hanno avuto diritto ad una slinguazzata ufficiale “ad hoc”? Forse è il caso di ricordare che per il suo lavoro commissionale la relatrice è stata remunerata sia finanziariamente (i rapporti vengono indennizzati in base alle ore lavorative necessarie all’allestimento dichiarate dal relatore) che mediaticamente.
Disparità di trattamento?
Durante il dibattito, il kompagno ex procuratore Ducry ha contestato la scelta di incaricare dell’applicazione del divieto di velo integrale le polizie comunali. Questo perché, secondo lui, nei comuni ci potrebbero essere delle differenti sensibilità sul tema del velo integrale, che porterebbero giocoforza a delle disparità di trattamento. Di conseguenza, per garantire uniformità su tutto il Cantone, il compito di comminare le sanzioni andrebbe conferito al Ministero pubblico. La posizione di Ducry costituisce un processo alle intenzioni ed una immeritata mozione di sfiducia all’indirizzo delle polizie comunali. In quest’ottica bisognerebbe allora affidare al Ministero pubblico anche le multe di parcheggio, poiché pure in quest’ambito i comuni potrebbero avere “diverse sensibilità”. Del resto, le multe antiburqa alle turiste possono essere prevenute con una corretta informazione, che certamente le strutture alberghiere non mancheranno di fornire alle ospiti con velo integrale.
Con il divieto di dissimulazione del viso il Ticino fa dunque da apripista in Svizzera. Ci sono adesso tutte le condizioni affinché la norma venga estesa a livello nazionale.
Lorenzo Quadri