Nel Mendrisiotto il tasso di frontalieri ha probabilmente già raggiunto il 60%

 

Nel Mendrisiotto la situazione, per quel che riguarda il frontalierato, degenera sempre di più.

Già nel 2014 i frontalieri rappresentavano il 55.6% degli occupati nel distretto. Non ci vuole un grande sforzo di fantasia per immaginare che la cifra, costantemente in crescita, sia ancora aumentata, e che adesso navighi attorno al 60%.

Ora, se qualcuno crede di venirci a raccontare che, in una situazione del genere, “l’è tüt a posct”, forse non è ben in chiaro. Oppure ci prende per scemi.

Da nessun’altra parte al mondo…

Ci piacerebbe sapere in quale altro paese, in nome del masochistico rispetto di accordi internazionali bidone, si sarebbe tollerato che la situazione degenerasse fino a questo punto.

Non certo nella vicina  Penisola, dove, è bene ricordarlo, contro “Prima i nostri” strillano come aquile, tentando di farci passare per razzisti (lo schema è sempre lo stesso: ricatto morale per ottenere l’apertura delle frontiere), ma poi non si fanno problemi a contingentare i frontalieri croati.

E nemmeno in Gran Bretagna. Oltremanica il voto sulla Brexit viene preso sul serio. Lì la preferenza indigena (Prima i nostri) è stata esplicitamente formulata dalla ministra dell’Interno Rudd. La quale, dopo aver ribadito che la manodopera estera nel Regno Unito deve andare solo a colmare delle lacune, e non ad occupare posti di lavoro per i quali ci sarebbero candidati inglesi, ha anche annunciato un giro di vite sui visti, compresi quelli degli studenti.

Inchieste taroccate

In Ticino invece il Mendrisiotto si ritrova con il 60% dei lavoratori frontalieri eppure, secondo gli spalancatori di frontiere, va tutto bene. Opporsi? Giammai! Il dumping non esiste. La sostituzione non esiste.

L’IRE ci ha stuccato 50mila franchetti (il costo lo abbiamo appreso di recente) per uno studio, realizzato da ricercatori frontalieri, da cui, chissà come mai, emerge che il frontalierato in Ticino non è un problema. E noi quell’indagine l’abbiamo anche pagata! Malgrado ciò, non possiamo nemmeno permetterci di contestarla: sarebbe reato di lesa maestà!

L’Ufficio di collocamento

Del resto la dimostrazione che la sostituzione di lavoratori residenti con frontalieri in Ticino esiste eccome, arriva proprio dall’Ufficio regionale di collocamento. L’URC, con sindacati e associazioni di categoria, ha di recente presentato un nuovo piano per combattere la disoccupazione tra gli impiegati di commercio, che è letteralmente esplosa a seguito della libera circolazione. Ed  è esplosa perché il “mercato” assume residenti in Italia. Ed in particolare lo fanno le numerose aziende in arrivo dal Belpaese che si insediano  sul nostro territorio per sfruttarne le vantaggiose condizioni quadro (fiscalità, sicurezza…) ma poi assumono solo frontalieri, così li pagano meno. Una realtà ammessa anche dal direttore del Centro di competenze tributarie della SUPSI Samuele Vorpe in una recente intervista.

E’ chiaro che, in un contesto dove si possono ingaggiare economisti laureati alla bocconi e poi farli lavorare a tempo pieno per 2000 Fr al mese (o in alternativa: assunzione al 50% a 2000 Fr al mese, ma grado d’occupazione reale del 100%) gli impiegati di commercio ticinesi non hanno chances.

Lo studio imboscato

Da un interessante studio realizzato dall’Ufficio cantonale di statistica nel 2014 emerge un dato significativo, che  per qualche misterioso motivo la stampa di regime non cita mai. Ossia che il profilo dei nuovi frontalieri è sempre più simile a quello dei ticinesi. Quindi, altro che “complementari”, altro che la patetica barzelletta dei “profili che non si trovano”, altro che la fetecchiata dei “lavori che i ticinesi non vogliono più fare”. La realtà è quella del soppiantamento.

Una sola risposta

A queste situazioni ci può essere una sola risposta. Non il “sa po’ fa nagott” che abbiamo sentito per troppi anni, durante i quali la situazione del mercato del lavoro ticinese è denegerata. E nemmeno la fandonia dei “Bilaterali irrinunciabili”: ormai non ci credono più nemmeno gli ambienti economici. No: la risposta è la preferenza indigena.

Lorenzo Quadri