Intanto la politica, anche a $inistra, lascia campo libero allo  smantellamento

 

La Posta SA, malgrado i 700 e passa milioni di franchetti di utili all’anno, ha preso in mano il machete ed ha annunciato, da qui al 2020, la chiusura di 600 uffici postali, in un’operazione che toccherà in vario modo anche 1200 collaboratori. E non si escludono (traduzione: ci saranno) licenziamenti.

I manager gialli, a cominciare dalla direttrice Susanne Ruoff, uregiatescamente parlano di “adattamento alle mutate abitudini della clientela”. Contorsionismi linguistici che servono solo a camuffare, male,  uno smantellamento in grande stile, effettuato da un’azienda di proprietà della Confederazione. Un’azienda che, oltretutto, non è affatto in difficoltà, come testimoniano gli utili stellari: quindi non taglia per sopravvivere. Se una ditta privata avesse fatto la stessa cosa, i sindacati sarebbero già in piazza con gli striscioni contro i padroni sfruttatori. Qui invece si sente solo qualche stitica frasetta di moderato dissenso. Più per marcare presenza che per altro. Sennò, citus mutus.

Riorganizzazione ragionevole?

E la politica? Idem con patate. Nei giorni scorsi è stato reso noto che la commissione dei trasporti e delle telecomunicazioni del Consiglio nazionale, che proprio lunedì aveva in audizione la Ruoff, ha chiesto che la riorganizzazione della rete postale avvenga “in modo ragionevole”. Ci sarebbe anche mancato che chiedesse una riorganizzazione irragionevole. Questa posizione equivale a dire che, almeno per la maggioranza, “l’è tüt a post.” Non c’è stata dunque nessuna levata di scudi contro l’ecatombe annunciata. Nemmeno da $inistra.

Mucca da mungere

E il Consiglio federale, come proprietario della Posta? Anche da lì, nessuna reazione, e questo è facile da spiegare. Gli utili postali fanno comodo, molto comodo. Soprattutto adesso che la spesa per i finti rifugiati esplode, tanto per citare un esempio, Berna ha bisogno di mucche da mungere. Il Gigante giallo è una di queste.

Compiti stravolti

Infatti di per sé – e questo lo diceva e scriveva già il Nano svariati anni fa – la Posta non “deve” fare utili, ma deve assicurare il servizio pubblico nei suoi ambiti di competenza.  In altre parole: deve consegnare lettere e pacchi, permettere alla gente di fare i pagamenti e mandare in giro gli autopostali. Deve inoltre essere un datore di lavoro “socialmente responsabile” ed attento alle regioni periferiche.

Allo stato attuale, il quadro che si presenta è tuttavia “un po’” diverso. La Posta fa la banca, ha trasformato gli uffici superstiti in bazar di carabattole, e si autoerotizza cerebralmente con i servizi online, con le app su smartphone, con fantomatici “smart button”, e avanti di questo passo.  Alle accuse di snaturare i suoi compiti di servizio pubblico la dirigenza replica che “sono gli utenti a chiederlo”. Stranamente, è la stessa risposta che danno gli autori della TV spazzatura: “è il pubblico a volerla”. In entrambi i casi, si tratta di assiomi tutti da dimostrare.

Boria personale?

C’è chi, un po’ malignamente, ritiene che in queste sbandate del Gigante giallo giochi un ruolo anche la boria personale dei boss postali. Gestire lettere e pacchi non procura la stessa sublime goduria che dà il riempirsi la bocca con teorie sulle app per telefonini e sull’online, pensando di scimmiottare i manager della silicon valley.

La Confederazione intasca

Se poi la Posta, che dovrebbe svolgere servizio pubblico, fa utili, è corretto che questi utili se li intaschi la Confederella e li usi per i propri scopi, ad esempio foraggiare finti rifugiati? Questi utili non dovrebbero essere usati a vantaggio dell’utenza, ad esempio diminuendo le tariffe? Invece queste non vengono abbassate, e costituiscono così una forma di prelievo fiscale mascherato. Lo stesso discorso si può fare in relazione ai dividendi della Swisscom.

Destino segnato

Gli è che il destino del servizio pubblico postale, dei 600 uffici e di 1200 dipendenti appare segnato. Contro lo smantellamento deciso dalla Posta non ci sarà alcun altolà della politica. I Comuni che si vedranno chiudere gli uffici postali protesteranno; il Gigante giallo – in nome del tanto decantato “dialogo” – prenderà atto; e poi li chiuderà lo stesso perché “è nostra facoltà”.

A Berna si benedirà lo smantellamento del servizio pubblico e la cancellazione di centinaia e centinaia di impieghi in nome dei succulenti utili – di fatto delle “creste” – da impiegare a piacimento.

E al cittadino – specie quello in età “diversamente giovane” che non usa le app per lo smartphone – rimarrà l’amara sensazione di essere stato preso per i fondelli per l’ennesima volta.

Lorenzo Quadri