Consiglio federale a 9 ed il rischio di un’esclusione ticinese lunga oltre 25 anni
La Commissione delle istituzioni politiche del Consiglio nazionale ha approvato venerdì, con una maggioranza quanto mai risicata (11 voti a favore, 10 contrari e 3 astensioni) il progetto di modifica dell’articolo 175 della Costituzione federale, che prevede di portare a 9 il numero dei Consiglieri federali. La proposta è da tempo sul tavolo della politica nazionale, dove non suscita soverchi entusiasmi. Tra i partiti maggiori, solo il P$$ l’appoggia. UDC, PLR e PPD sono contrari. In consultazione, la proposta ha racimolato 30 pareri negativi su 44. Dei governi cantonali, soltanto cinque, tra cui quello ticinese, si sono espressi a favore.
L’aumento del numero dei consiglieri federali è la classica proposta alla quale, come ticinesi, si voterà sì turandosi il naso.
Sistema sicuro?
L’aumento delle cadreghe è – dovrebbe essere – un sistema “sicuro” per garantire la presenza di un esponente della Svizzera italiana in Consiglio federale. E’ su questo argomento, e non sulla presenza del “Ticino” nella stanza dei bottoni, che bisogna puntare a Berna per ottenere un qualche risultato. L’errore capitale che viene fatto sotto le cupole federali, e di cui poi scontiamo le conseguenze, è di considerare il Ticino semplicemente alla stregua di Cantone svizzero come tutti gli altri, al quale non si giustificano concessioni particolari, altrimenti bisogna fare regole ad hoc per tutti e 26. Il discorso del Cantone fa poca presa, ne fa di più quello della “Svizzera italiana”. Per una regione linguistica un trattamento particolare è più facile da giustificare. Se infatti fossero la Romandia o la Svizzera tedesca a trovarsi nella palta a seguito della devastante libera circolazione delle persone, poco ma sicuro che a Berna la sveglia sarebbe suonata da un pezzo. Il fatto che ciò non accada per noi, significa che non c’è la volontà di muoversi; non che sia impossibile farlo. Il “sa po’ fa nagott” è una fanfaluca. Ma evidentemente il sud delle Alpi è sempre stato ritenuto sacrificabile sull’altare dei rapporti con gli eurofalliti. Poi a Berna si chiedono da dove salta fuori il voto del 9 febbraio. Ecco da dove salta fuori.
Altri argomenti?
Con un Consiglio federale a 9 membri, la pressione per una rappresentanza svizzero italiana nell’esecutivo nazionale diventerebbe de facto insostenibile. Diciamo svizzero italiana e non ticinese, perché ci sono Cantoni che di consiglieri federali non ne hanno mai avuti. Sicché difficilmente il Ticino potrebbe rivendicare una presenza permanente o semi-permanente.
Il problema è che gli argomenti a favore del Consiglio federale a nove qui cominciano e qui finiscono. E allora è triste che, per ottenere il rispetto di quel che sta scritto nella Costituzione all’articolo 175 (“Le diverse regioni e le componenti linguistiche del Paese devono essere equamente rappresentate”) , non si trovi altra via se non quella di aggiungere due posti a tavola.
Fumogeni
Perché gli altri argomenti portati a sostegno della proliferazione dei ministri, come quello del carico lavorativo, sono delle arrampicate sui vetri. Fumogeni per tentare di nascondere la realtà. E la realtà è che, malgrado le camionate di attestazioni di “comprensione” federale nei confronti del Ticino, quando si tratta di venire al dunque e mollare una cadrega del Consiglio federale ad un candidato della Svizzera italiana, gli esponenti delle due altre regioni linguistiche fanno orecchie da mercante da 17 anni. Dopo l’elezione, lo scorso dicembre, del romando Guy Parmelin, le porte per il nostro Cantone resteranno chiuse ancora per un buon decennio. Avremo quindi tutto l’agio di festeggiare il “due di picche d’argento”: 25 anni di porte sbarrate.
Farsi male da soli
L’articolo 175 della Costituzione federale è ormai diventato una barzelletta perché chi ha non molla niente. E allora ecco che per rimediare senza togliere nulla a nessuno non si trova altra via che moltiplicare i ministri. Non è edificante. Del resto, anche il Ticino per farsi escludere ci mette del suo. Lo scorso dicembre la deputazione ticinese a Berna non ha nemmeno ritenuto di prendere posizione a sostegno di Norman Gobbi, poiché esponente di un Movimento sgradito alla partitocrazia. Avanti, facciamoci male da soli…
Lorenzo Quadri