Il nuovo flop italiano della ferrovia Stabio-Arcisate (concorso andato deserto) mette ancora una volto a nudo i meccanismi che reggono i rapporti tra la Svizzera e la vicina Penisola. L’Italia è inadempiente nei nostri confronti più o meno su tutto. Gli è che, all’attuale stato di cose, la Svizzera ha speso qualcosa come 200 milioni di Fr, di cui 100 di proprietà del Ticino, per un trenino che si ferma al confine. E dire che la Stabio-Arcisate sarebbe dovuta servire a dare un po’ di sollievo alla viabilità ticinese, collassata a causa dei 62’500 frontalieri e delle svariate migliaia di padroncini che entrano quotidianamente nel nostro Cantone uno per macchina.

La dichiarazione del direttore del Dipartimento del Territorio Claudio Zali, secondo cui bisognerebbe bloccare i ristorni ed utilizzarli per completare i lavori della nuova ferrovia anche su tratta italiana, ovviamente appaltando ad imprese svizzere, non è certo peregrina: in effetti i ristorni dovrebbero servire per eseguire opere infrastrutturali, senonché le cose vanno molto diversamente.

Triste realtà

Le concessioni a senso unico sono una triste realtà anche in molti altri settori. Mentre la Svizzera, grazie alla catastrofica ministra del 5%, ha svenduto la propria piazza finanziaria, le black list italiane illegali rimangono in vigore: perché i negoziatori svizzeri non sono nemmeno stati in grado di imporre come contropartita l’accesso al mercato italiano. Si negozia a compartimenti stagni ed il risultato è sempre lo stesso: gli svizzerotti rimangono con la Peppa Tencia in mano, nell’attesa che anche la controparte faccia i compiti. Campa cavallo.

Le conseguenze

Il nostro paese, nei rapporti con l’Italia, ma più in generale con l’UE, ha svenduto la privacy bancaria, ovvero una condizione quadro fondamentale. Le conseguenze non tarderanno. La volutary disclosure, concordata con l’Italia, non la fa nessuno. Comprensibilmente, i clienti italiani delle banche svizzere non si fidano delle autorità fiscali del proprio paese. Quindi semplicemente portano il gruzzolo altrove. L’equazione è di una semplicità disarmante: parte anche solo un terzo dei capitali in gestione, sparisce un terzo degli impieghi sulla piazza ticinese.

E i dati dei padroncini?

Sicché ci si prepara allo sciagurato scambio automatico di informazioni bancarie. Però la Svizzera, costretta a mandare al fisco italico ogni sorta di informazioni finanziarie, non può invece trasmettergli l’elenco dei padroncini e dei distaccati (che evadono le tasse) in funzione antidumping. Non solo: il potenziamento delle misure accompagnatorie alla devastante libera circolazione delle persone è stato congelato dal ministro PLR Schneider Ammann dietro pressioni lobbystiche. Proprio quando il franco forte peggiora l’invasione da oltreconfine. I nostri vicini a sud ridono a bocca larga: non solo ottengono dagli svizzerotti di tutto e di più, ma potranno continuare a fare concorrenza sleale alle aziende ticinesi rischiando ben poco.

Niente informazioni giudiziarie

La Svizzera trasmette informazioni bancarie a go-go, però non può chiedere sistematicamente l’estratto del casellario giudiziale ai cittadini UE – in particolare italiani – che postulano un permesso B o G. E’ semplicemente allucinante: questi permessi secondo Berna vanno rilasciati alla cieca anche a delinquenti, con buona pace della sicurezza interna. Grazie al Consiglio federale più debole della storia, svendiamo la piazza finanziaria ma non  possiamo impedire l’arrivo di delinquenti stranieri perché “bisogna” (?) rispettare pedissequamente la libera circolazione delle persone. Il Belpaese ottiene da noi tutte le informazioni che vuole. Noi non riceviamo nemmeno quelle più elementari.

Continuare a concedere per non ottenere nulla in cambio. Questa è la politica elvetica nei confronti dell’UE in generale e dell’Italia in particolare. Non è magari ora di cambiare registro?

Lorenzo Quadri