$ocialisti sempre contro la Svizzera. Intanto a Nord si concludono accordi importanti

In Svizzera la partitocrazia triciclata è in lutto stretto per lo sconcio accordo quadro istituzionale. I camerieri bernesi di Bruxelles e la stampa di regime non riescono proprio a digerire la chiusura del capitolo. Del resto, bisogna comprenderli: hanno passato anni a praticare il lavaggio del cervello al popolazzo, per inculcargli il concetto farlocco che, senza l’accordo coloniale, per la Svizzera sarebbe stata la catastrofe. Invano!

Vergogna ro$$a

Il partito $ocialista, sempre schierato contro la Svizzera e contro gli svizzeri, addirittura rilancia l’ingresso della Confederella nell’UE. Alla faccia della volontà popolare, platealmente contraria ad una simile scelleratezza. Ma l’adesione alla fallita DisUnione europea, così come pure l’abolizione dell’esercito, figura nel programma del P$.  Il quale già preannuncia mozioni in tal senso, come riferisce la stampa d’Oltralpe. Questo in barba ai goffi tentativi di minimizzare le smanie euroturbo dei $ocialisti compiuti in Ticino dalla senatora Marina Carobbio.

I ticinesi prendano dunque nota: il P$ vuole l’adesione della Svizzera all’UE. Chi vota P$ vota per l’adesione alla DisUnione europea, vogliosa di comandare in casa nostra e di saccheggiare le nostre casse pubbliche. Altro che difendere i lavoratori: ormai il P$ difende solo i sedicenti “autogestiti” contro i lavoratori, e promuove l’invasione da sud.

Del resto, da un partito co-presieduto da tale Cédric Wermuth (Cédric chi?), studente a vita dai passaporti plurimi, i cui principali obiettivi politici sono rendere l’albanese ed il serbo croato lingue nazionali ed introdurre lo ius soli, cosa ci si poteva attendere?

Intellettualini in tilt

A frignare per la dipartita dello sconcio accordo quadro, come ben sappiamo, ci sono pure gli ambienti universitari. Ovviamente per impostazione ideologica degli intellettualini, non certo perché la ricerca in Svizzera possa venire concretamente danneggiata dalla rottamazione del trattato in questione. Tanto più che le migliori università del mondo, specie dopo la Brexit, si trovano al di fuori dell’UE.

Tra le Cassandre della “ricerca in pericolo” si segnala l’USI, ben amplificata dalla ro$$a RSI. Ohibò, l’USI si occupa anche di ricerca scientifica? Strano, perché dopo le ultime esternazioni del rettore eravamo convinti che il “focus” fossero l’autogestione ed i brozzoni. Certo che se la priorità del “magnifico rettore” (sic!) è quella di metter fuori la faccia per fare politichetta gauche-caviar, auguri all’istituzione.

Chi prende l’iniziativa

Nel mentre che alle nostre latitudini la casta, in preda alla stizza, minaccia, piagnucola e non riesce a farsi una ragione della fine dell’accordo quadro, e naturalmente si arrampica sui vetri nella speranza di far rientrare dalla finestra quello che è uscito dalla porta, altrove c’è chi prende l’iniziativa.

Ad esempio: nei giorni scorsi, nel totale silenzio della nostra stampa di regime, il governo norvegese ha annunciato di aver concluso “in tempo di record” un importante accordo commerciale con il Regno Unito. Un accordo, spiega nel suo sito il governo di Oslo, importante “per l’industria norvegese e britannica, per l’economia norvegese, per la creazione di impieghi in Norvegia”. I contraenti non sono in realtà solo la Norvegia, ma anche Islanda e Liechtenstein.

Le trattative sono iniziate nell’agosto del 2020 e si sono per l’appunto concluse ad inizio giugno. La tempistica è effettivamente da record. Gli scandinavi si sono mossi subito.

E noi?

A questo punto la domanda nasce spontanea. Cosa aspetta la Svizzera a seguire l’esempio ed a concludere accordi con la Gran Bretagna? Perché la Norvegia ha già “portato a casa”, mentre a Berna la principale occupazione è la calata di braghe davanti ad ogni pretesa degli eurobalivi con la scusa che “non bisogna esacerbare” (?) le relazioni dopo la sepoltura dell’accordo quadro? Si ha forse PAURA di scontentare i funzionarietti di Bruxelles mostrandosi troppo “anglofili”? Addirittura il governicchio federale pretende dal parlamento la cancellazione della clausola secondo la quale la marchetta da 1.3 miliardi all’UE può essere versata solo a patto che gli eurobalivi non ci discriminino. Ma col fischio!

E’ evidente, e l’abbiamo ripetuto in più occasioni, che la Svizzera deve ridurre la propria dipendenza dalla fallita UE. Perché dipendenza significa ricattabilità. E’ quindi una priorità concludere trattati commerciali con paesi extra-UE che non pretendono, in cambio, di comandare in casa nostra. Ancora una volta rileviamo però che altri ci bagnano il naso.

Lorenzo Quadri