L’esplosione del frontalierato fa male al Ticino, ma anche all’Italia
Alla buon’ora! Anche nel Belpaese qualcuno comincia ad accorgersi che il frontalierato senza limiti è una calamità non solo per la Svizzera per i motivi ormai arcinoti (esclusione dei residenti dal mercato del lavoro, dumping salariale,…) ma pure per le fasce di confine italiane.
Ieri il Corriere della Sera online “scopriva” il caso della Valchiavenna, dove i frontalieri sono 1700 (in tutta la Valtellina in totale sono circa 6000). Costoro non vanno ovviamente a lavorare in Ticino, bensì nei Grigioni ed in particolare in Engadina. Il motivo? Lo stipendio assai più elevato, è chiaro.
“Lavoro come operaio in una vetreria di St. Moritz – racconta un permesso G -. Lo stipendio? Il triplo di quando facevo il cameriere in Italia”.
Intanto l’economia sul territorio italiano va a ramengo. Spiega il Corriere che il 30% delle 1440 imprese registrate in Valchiavenna cerca manodopera. Ma non la trova a causa della concorrenza elvetica. L’imprenditoria locale non è infatti in grado di versare stipendi engadinesi.
Gli stessi frontalieri sottolineano che il sistema funziona solo se si lavora in Svizzera ma si vive in Italia. Altrimenti gli affitti grigionesi risultano troppo cari.
Intanto in Valtellina suona l’allarme: investiamo nella formazione dei giovani, ma questi poi se ne vanno a lavorare nella Confederella.
Clausole di salvaguardia
Certamente la situazione della Valchiavenna per rapporto all’Engadina è particolare. Ma queste stesse dinamiche si verificano anche in Ticino. Esse nuocciono – e quanto! – all’occupazione nel nostro Cantone. Chi le combatte, però, viene sistematicamente accusato di “razzismo” da giornalai e politicanti tricolore (oltre che dalla $inistruccia nostrana). Ma l’esplosione del frontalierato danneggia anche l’economia italiana, causando deindustrializzazione e fuga di cervelli (i permessi G esplodono nel terziario). Se finalmente anche i vicini a sud se ne renderanno conto, ci si accorgerà che porre dei limiti alla devastante libera circolazione, ad esempio tramite l’introduzione di clausole di salvaguardia, è nell’interesse comune di entrambi i Paesi: Svizzera (Ticino) ed Italia. E allora magari si potrà cominciare a ragionare e ad ottenere qualcosa!
Cosa aspetta la politica di questo sfigatissimo Cantone a muoversi in tal senso?
Lorenzo Quadri