Paghe dignitose per i ticinesi SI’, regali ai frontalieri NO: da qui non si scappa
Nel filone del dibattito su soppiantamento dei lavoratori ticinesi ad opera di frontalieri e dumping (per il Gran Consiglio: dömping) salariale (quei fenomeni che, secondo gli studi farlocchi dell’IRE, sarebbero “solo percezioni”) si inserisce anche la molto discussa questione dei salari minimi, in applicazione a quanto votato dal popolo approvando l’iniziativa “Salviamo il lavoro in Ticino”. Che però prevedeva salari minimi differenziati per settori e mansioni. L’iniziativa è stata appoggiata anche dalla Lega.
Il Consiglio di Stato, come sappiamo, nelle scorse settimane ha deciso di proporre un salario minimo che si aggira attorno ai 3300- 3400 Fr al mese.
I problemi non mancano, perché:
- Per i ticinesi 3300 Fr al mese sono pochi e di certo una famiglia non ci vive, a meno di avere due redditi. In effetti la maggioranza di chi ha salari inferiori a queste cifre è composta da frontalieri.
- Per i frontalieri, il salario minimo costituisce un regalo ingiustificato. Che ci rende sempre più attrattivi per l’assalto alla diligenza da oltreconfine. Quando invece l’obiettivo (perseguito anche dal famoso nuovo accordo fiscale, che però l’Italia mai sottoscriverà) è quello opposto. Ovvero renderci meno attrattivi per il frontalierato.
- Oltretutto la norma è facilmente aggirabile. O qualcuno immagina che l’ “imprenditore” d’Oltreramina arrivato in Ticino per sfruttare il territorio, e che assume solo frontalieri, si farà problemi a far figurare ufficialmente assunzione e salario al 50%, quando il carico lavorativo reale è del 100%? Ci siamo forse dimenticati che nel Belpaese il lavoro nero è istituzionalizzato? Dixit Berlusconi quando era premier (sic!): “sotto il 20% non è lavoro nero”.
- Vivendo in Svizzera, con tutte le spese del caso (a partire dai premi di cassa malati; e se ci sono dei sussidi, ricordarsi che è il contribuente a pagarli) il potere d’acquisto di un salario di 3300 Fr è abissalmente diverso che vivendo in Italia.
- Anche il Gigi di Viganello si rende conto che fissare un salario minimo significa dare una potente spinta all’appiattimento dei salari superiori verso la cifra minima.
Preferenza indigena
E’ un dato di fatto che qualsiasi discorso su salari minimi non può prescindere dalla preferenza indigena. Di salario minimo senza preferenza indigena non se ne parla. L’obiettivo del salario minimo deve essere quello di garantire agli stipendiati ticinesi di vivere dignitosamente in Ticino. Non di permettere ai frontalieri di fare la bella vita Oltreconfine.
Ci vuole una compensazione
Se si vuole, con finalità antidumping, che il salario minimo sia uguale per tutti (discutibile, perché là dove c’è un salario usuale superiore il frontaliere potrà comunque proporsi al salario minimo, sicché il dumping rimane) allora bisogna elaborare anche un sistema di compensazione tra il potere d’acquisto dei ticinesi e quello dei frontalieri. Se si vuole che ticinesi e frontalieri vengano pagati uguali, il fatto che il costo della vita in Italia è nettamente inferiore a quello ticinese deve essere tenuto in debito conto. In caso contrario si creano privilegi a vantaggio dei frontalieri. E non se ne parla nemmeno. Non ci sta bene trattare in modo uguale ciò che uguale non è. Ticinesi e frontalieri non sono uguali. Sì ai salari dignitosi per i ticinesi, e ci mancherebbe, ma no ai regali ai frontalieri.
Ottenere questa quadratura del cerchio non è semplice. Una cosa è certa: senza preferenza indigena, il salario minimo sarà un autogoal. Quello di 3300 Fr proposto dal CdS costituisce solo la parte “regalo ai frontalieri”, che invece bisogna evitare. Mentre non risponde all’aspettativa dei ticinesi di un salario dignitoso, ossia che permetta di vivere qui senza bisogno di aiuti assistenziali.
Una sola via d’uscita
Morale: che nessuno si sogni di introdurre il salario minimo ma di trombare la preferenza indigena perché “bisogna aprirsi”, perché “i padroni di Bruxelles (quelli ai quali regaliamo 1.3 MILIARDI di Fr senza alcuna contropartita ) non gradirebbero”. Chi vuole il salario minimo ma combatte, in genere con toni isterici, la preferenza indigena è semplicemente uno spalancatore/trice di frontiere che vuole avvantaggiare i frontalieri.
La conclusione è comunque sempre la stessa. Queste difficoltà nel trovare delle misure che tutelino in modo efficace (e non autolesionista) il mercato del lavoro ticinese devastato dalla libera circolazione voluta dalla partitocrazia, dimostrano che abbiamo una sola via d’uscita: ABOLIRE la libera circolazione!
Lorenzo Quadri