Ma guarda un po’. Dall’ultima indagine emerge che il comune di Valsolda sarebbe il più povero d’Italia. E subito il suo sindaco, tale Giuseppe Farina, si lancia in elucubrazioni antisvizzere. Gli abitanti sono al 90% frontalieri e quindi – secondo il Farina – le tasse le incassa il Ticino mentre i costi restano a carico dei comuni di domicilio. Visione del frontalierato davvero singolare, questa: i  vantaggi andrebbero al Ticino ed i danni all’Italia.

Farina aggiunge pure – e qui ha senz’altro ragione – che i suoi concittadini, in quanto frontalieri, guadagnano mediamente il triplo degli italiani.

Delle due l’una. O il sindaco di un Comune in cui il 90% degli abitanti sono frontalieri non sa un tubo degli accordi che regolano il frontalierato, e sarebbe grave, oppure le sue dichiarazioni perseguono altri scopi.

Non è affatto vero che gli utili restano in Ticino e le spese in Italia. Infatti il sindaco Farina dovrebbe sapere che da quasi quarant’anni la Svizzera ristorna all’Italia, la quale dovrebbe poi girarli ai comuni di domicilio dei frontalieri (e se non lo fa la colpa è di Roma e non certo del Ticino), ben il 38.8% delle imposte alla fonte prelevate a questi lavoratori.

Detto ristorno viene tutt’ora graziosamente concesso dalla Svizzera (da Berna) sebbene ormai non sia più giustificato da nulla, dal momento che i presupposti che ne stavano alla base, a partire dal beneplacito italiano al segreto bancario elvetico, non sono più dati.

Ma forse il sindaco Farina, che se la prende col Ticino  reo, secondo il suo pensiero, di incassare imposte idealmente dovute (?) al suo comune, dovrebbe chiedersi cosa succederebbe se il Ticino non ci fosse e se non ci fosse la devastante libera circolazione delle persone che permette a parecchi suoi concittadini di lavorare nel nostro Cantone a scapito dei residenti.

Semplicemente, tanti suoi concittadini sarebbero disoccupati, e quindi non solo non pagherebbero tasse, ma sarebbero a carico dell’ente pubblico italiano. Sicché il Comune di Farina, invece di incassare i succulenti ristorni (e ripetiamo: se non li incassa, la colpa è di Roma), non incasserebbe proprio nulla. Anzi, dovrebbe spendere.

Fa poi specie che il sindaco di Valsolda se la prenda con i suoi concittadini frontalieri che utilizzano le sue strade, provocando costi. Si consoli: essi utilizzano anche quelle ticinesi, causando usura ed intasamenti (e quindi danno economico) senza che le spese così generate siano compensate. E come la mettiamo con i costi sociali generati dal frontalierato in Ticino, ossia l’esplosione del numero dei ticinesi, giovani e meno giovani, in assistenza?

Nelle prese di posizione di Farina ed in altre analoghe, traspare un astio antisvizzero del tutto fuori posto da parte di chi la Svizzera dovrebbe ringraziarla “per esistere” almeno tre volte al giorno. Comunque, prendiamo atto che al sindaco di Valsolda non sta bene che il 90% dei suoi compaesani siano frontalieri. Nemmeno a noi sta bene dare lavoro ad interi comuni italiani quando abbiamo 20mila residenti in Ticino senza un impiego (il dato ufficiale di disoccupazione è notoriamente taroccato).
Quindi il sindaco di Valsolda non avrà obiezioni se, al confine di Gandria, effettueremo blocchi di polizia quotidiani contro i padroncini, che rappresentano una forma di frontalierato particolarmente perniciosa per l’economia ticinese.

E il sindaco di Valsolda appoggerà sicuramente con entusiasmo la nostra proposta di abolizione dello statuto fiscale di frontaliere, di modo che questi lavoratori vengano tassati secondo l’aliquota italiana, con ripartizione del gettito regolato come segue: al Ticino l’equivalente delle nostre aliquote (senza dover più ristornare nulla), la differenza all’Italia.

Lorenzo Quadri