Frontalierato: i soldatini della libera circolazione tentano di sminuire, ma… 

Questa è la vera notizia che emerge dall’ultimo studio; non certo i giochetti su percentuali infinitesimali che si smontano da soli

Scusate ma ci scappa da ridere. I tentativi di lavaggio del cervello ad opera dei soldatini della libera circolazione proseguono. Ben lo dimostra l’enfasi mediatica data all’ultimo studio dell’USI secondo cui tra il 2014 ed il 2016 i frontalieri sarebbero cresciuti meno rispetto ai posti di lavoro creati in Ticino. Questa affermazione viene utilizzata per accreditare la solite tesi: ovvero che con le frontiere spalancate l’è “tüt a posct”, che la libera circolazione è una figata pazzesca, che immigrazione uguale ricchezza, che sostituzione e dumping salariale sono tutte balle della Lega populista e razzista, eccetera. Insomma, i soliti “fatti alternativi” con cui si tenta di convincere i ticinesotti (chiusi e gretti) che la loro esperienza quotidiana in materia di frontalierato è frutto di allucinazioni collettive. “Solo una percezione” come direbbe il buon Rico Maggi dell’IRE. IRE che, guarda caso, è parte dell’USI.

La tesi si smonta da sola

Ovviamente i soldatini della libera circolazione delle persone puntano sui titoli ad effetto. Del tipo: “Altro che frontalieri: nuovi impieghi per lo più a residenti” o “Nuovi impieghi, residenti in testa”.

Ma cosa dice lo studio USI? Dice che in questo sempre meno ridente Cantone da fine 2014 a fine 2016 i posti di lavoro sono nel complesso aumentati del 5.8% mentre i frontalieri solo (?) del 2%. Lo studio stesso però precisa: “è probabile che questo andamento sia dovuto all’incremento dei posti a tempo parziale così come pure a decisioni individuali dei frontalieri di trasferire il domicilio in Ticino”. Ciò che già basta a smontare i titoli ad effetto appena citati: ma ovviamente chi produce tali titoli punta poi sul fatto che i lettore si fermi a quelli e non vada a leggere il resto.

Sottoccupazione

Perché se l’obiettivo era di far credere che l’invasione da sud starebbe rallentando, che la situazione sarebbe insomma sotto controllo e quindi – perché è lì che si vuole andare a parare – la libera circolazione delle persone deve andare avanti ad oltranza e non ci deve essere alcuna “Swissexit”, tale obbiettivo è ampiamente mancato.

Infatti il numero dei frontalieri ha conosciuto una nuova impennata: l’Ufficio federale di statistica ha annunciato che i frontalieri a fine marzo 2017 in Ticino erano 65mila, circa 2000 in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. In contemporanea, il numero delle persone in assistenza è aumentato di 1000 unità.

C’è poi il dato sulla sottoccupazione, che è raddoppiata in un decennio. Il che ha, ovviamente, una relazione diretta con il lavoro a tempo parziale. Per molti residenti lavorare a tempo ridotto non è una scelta, lo fanno perché non hanno trovato altro. E non hanno trovato altro perché il mercato del lavoro ticinese è saturato da “targhe azzurre”.

Confermato il soppiantamento

Lo studio USI contiene anche un’altra constatazione interessante. Infatti riconosce  che la libera circolazione delle persone ha messo “in concorrenza i lavoratori indigeni con lavoratori frontalieri (meno pagati, ma spesso altrettanto qualificati) anche nei settori precedentemente considerati protetti”. Ohibò, quindi il soppiantamento esiste! Non che ciò equivalga a chissà quale scoperta, visto che se ne è accorto anche il Gigi di Viganello. Tuttavia, dal momento che l’IRE – come detto istituto dell’USI – sostiene invece che sono tutte balle populiste, ben venga che si rimetta il campanile al centro del villaggio.

Ecco, questa avrebbe dovuto semmai essere la notizia da mettere nel titolo. Ossia che anche l’USI si accorge che il soppiantamento di lavoratori residenti con frontalieri è una realtà. Non certo la storiella dei residenti in testa nei nuovi impieghi. Che si smonta da sola. Non soltanto per la questione dei tempi parziali, ma anche perché un certo numero di frontalieri sceglie di trasferirsi in Ticino e diventa così “residente”. Senza considerare poi i permessi B farlocchi,  ossia rilasciati a persone che in realtà vivono oltreconfine. Prassi, questa, particolarmente in voga sulla piazza finanziaria per far credere che la percentuale di addetti frontalieri sia minima. A ciò vanno ancora aggiunti i frontalieri in nero, che evidentemente non figurano in nessuna statistica.

Visto poi che la crisi economica del Belpaese prosegue, è evidente che la pressione sul mercato del lavoro ticinese continuerà ad aumentare.

Le grandi cifre

Ma forse bastano tre cifre per smontare il tentativo di utilizzo dell’ultimo studio dell’USI per puntellare la sempre più traballante tesi del “con la libera circolazione l’è tüt a posct”.

I soldatini delle frontiere spalancate si arrampicano sui vetri delle percentuali infinitesimali dimenticando che:

  • In Ticino i frontalieri sono quasi il 30% dei lavoratori
  • La media svizzera è del 6%
  • Quella della regione lemanica è del 12.3%.

Cos’altro serve per rendersi conto che la libera circolazione deve saltare?

Lorenzo Quadri