Tra le cappellate da pandemia di covid svetta l’uso scriteriato di questa opzione

E’ da poco stato presentato pubblicamente il rapporto della Cancelleria federale sulla gestione della pandemia di stramaledetto virus cinese da parte del governicchio bernese.

Data la contiguità della Cancelleria col citato governicchio, pare ovvio che il documento è a dir poco “edulcorato”. Ciononostante, come si è potuto leggere sui media negli scorsi giorni, sono emerse svariate cappellate. Ma naturalmente la stampa di regime, a partire da quella di sedicente servizio pubblico, quando la pandemia imperversava si è fatta andare bene tutto: ben lungi dall’evidenziare le cappellate dell’esecutivo, ha sliguazzato senza ritegno il kompagno Berset ed i suoi burocrati ro$$i. Nessuna parvenza di spirito critico: solo un distillato di servilismo nei confronti dell’autorità che avrebbe fatto la gioia di Putin e di Kim Jong-un. Forse i giornalai di regime i corsi di perfezionamento  lifanno a Mosca e a Pyongyang.

Il bello (si fa per dire) è che l’improponibile direttore generale della ro$$a SSR Gilles Marchand (Gilles chi?), diffusore di fake news, intervistato in ginocchio dal CdT, ha avuto il coraggio dicitare il lecchinaggio dei tempi della crisi pandemica come esempio positivo di servizio pubblico radiotelevisivo, in un maldestro tentativo di spalare palta sull’iniziativa popolare per il canone a 200 franchi (firmate tutti!).

Un altro audit

Sarebbe interessante disporre di un audit esterno  – non certo uno “di compiacenza”  svolto dalla Cancelleria federale – sulle boiate messe a segno dai camerieri bernesi di Bruxelles, a partire dal “medico italiano” del PLR, a proposito della guerra in Ucraina. Perché la lista è lunga: pavida rottamazione della neutralità, sanzioni boomerang contro Mosca che si ritorcono contro i cittadini svizzeri, futuro della nazione pesantemente ipotecato, eccetera.

Vogliono approfittarne

Tra le cappellate della pandemia si annovera anche l’uso smodato ed ingiustificato del telelavoro. Che ormai è stato sdoganato. E adesso certi ambienti economici cercano di approfittarne per lasciare a casa ticinesi, assumere frontalieri e farli poi telelavorare!

Oltretutto tali cerchie hanno perfino la “lamiera” di dichiarare che, mettendo i frontalieri in telelavoro, si riduce il traffico e dunque si  tutela il clima.

Qui qualcuno deve essere caduto dal seggiolone da piccolo.

Il baratro

Punto primo: in regime di telelavoro ad oltranza, altro che frontalieri. Le aziende “con scarsa sensibilità sociale” (eufemismo) assumeranno, e faranno telelavorare, rumeni o indiani direttamente. Va da sé, a paghe rumene o indiane. E allora non ce ne sarà più per nessuno; né per i ticinesi, né per i frontalieri. Si sta dunque preparando la devastazione definitiva del mercato del lavoro di questo Cantone.

“Grazie” alla partitocrazia spalancatrice di frontiere, i lavoratori ticinesi già vengono soppiantati in casa loro, nell’ordine: dai permessi G, dai padroncini, prossimamente dai profughi ucraini e financo dai richiedenti d’asilo con domanda respinta (!): costoroinfatti, secondo il triciclo in Consiglio nazionale, devono poter rimanere in Svizzera a lavorare (a scapito dei residenti). Fino a dove pensa di spingersi la casta?

Punto secondo: il telelavoro desertifica ulteriormente i centri cittadini, con tutte le conseguenze del caso per commerci, ristorazione, servizi, eccetera. Come se le sciagurate politiche viarie ro$$overdi – a partire dal PVP di Lugano – non avessero già fatto abbastanza danni.

Punto terzo: i frontalieri in telelavoro dimostrano la perversione del sistema instaurato dalla partitocrazia. I permessi G che svolgono quelle attività dove c’è carenza di manodopera residente, vedi l’ambito classico dell’edilizia, non possono telelavorare. Nemmeno quelli del settore sanitario.

I frontalieri che telelavorano sono assunti nel terziarioimpiegatizio: sono dunque quelli la cui presenza è nociva, in quanto soppiantano i ticinesi.

In questi settori economici non c’è alcuna carenza di manodopera residente. In particolare in quelli che consentono il lavoro da casa!

E’ il caso di ricordare che, negli ultimi dieci anni, in Ticino i permessi G presenti nel settore terziario sono aumentati di quasi il 66%. E che oltre il 66% dei frontalieri presenti in questo sfigatissimo Cantone è attivo nel terziario.

Morale della favola

I frontalieri che lavorano in remoto sono quelli che non ci dovrebbero nemmeno essere. Di conseguenza, alle aziende che pensano di mandare (ovviamente pro saccoccia loro; magari per risparmiare sugli affitti degli uffici) i frontalieri in telelavoro ed in più si permettono di cercare di fare fessi i ticinesi con favolette sulla riduzione del traffico, vanno semplicemente ritirati i relativi permessi G. I dipendenti frontalieri lasciati a casa verranno poi sostituiti da disoccupati ticinesi: così si risolve il problema del traffico e dell’inquinamento.

Il telelavoro non deve in nessun caso diventare la normalità. Altrimenti per l’occupazione in Ticino (come scritto sopra) sarà la FINE.

Lorenzo Quadri