Sul burqa un velo di omertà
Nel maggio del 2011 è riuscita, con 12 mila firme, l’iniziativa popolare costituzionale che chiede l’introduzione di un divieto di dissimulazione del viso nei luoghi pubblici o aperti al pubblico. Si pensa principalmente al burqa, ciò che non è un mistero per nessuno.
L’iniziativa è stata lanciata da un comitato apartitico presieduto dal Guastafeste Giorgio Ghiringhelli. Nel comitato la Lega è ben rappresentata.
Ora si avvicina la scadenza del termine per la messa in votazione dell’iniziativa popolare (2 anni) senza che però la Commissione delle Petizioni del Gran Consiglio e il Consiglio di Stato abbiano ancora fatto i compiti, dal momento che non si vedono prese di posizione sul tema.
E il comitato promotore comincia a spazientirsi: nei giorni scorsi, tramite lettera raccomandata al Consiglio di Stato firmata dal promotore Ghiringhelli, il governo è stato invitato a far sì che i tempi vengano rispettati.
Si potrebbe dire che il burqa non è il principale problema del Ticino. Nel senso che per adesso la rilevanza pratica è limitata poiché di questi abbigliamenti se ne vedono pochi. Ma la portata politica per il futuro è grande. Il burqa non è solo un velo, ma rappresenta la negazione del nostro Stato di diritto, della nostra democrazia occidentale, dei nostri diritti costituzionali. Dalla parità uomo-donna alla libertà di religione a quella d’espressione. Rappresenta anche il rifiuto più plateale di quello che è il primo obbligo del cittadino straniero che si trasferisce in Svizzera, ossia integrarsi.
Difendere il nostro Stato di diritto da infiltrazioni di senso contrario che vogliono approfittare della multikulturalità per poi imporre le proprie regole in casa nostra è una necessità.
Ed è inutile che la $inistra delle frontiere spalancate e della fallita multikulturalità spolveri l’ormai ritrita storiella del razzismo e del populismo, non sapendo ormai trovare altri argomenti. La cosiddetta primavera araba è ben presto degenerata in inverno islamico. La multikulturalità voluta dalla $inistra degli spalancatori di frontiere, e l’hanno affermato i capi di governo dei principali Stati europei, è “completamente fallita”. E’ giunto il momento di chiarire in modo inequivocabile che non siamo terra di conquista, e che chi vuole vivere in Svizzera e in Ticino lo fa secondo le nostre regole. Chi crede di poter vivere in Svizzera come vivrebbe ad esempio in Pakista non è al suo posto alle nostre latitudini.
Quella contro il burqa e l’estremismo religioso di cui è la spia, contrapposto al nostro Stato di diritto, è dunque una battaglia democratica fondamentale per il nostro futuro. Bisogna muoversi quando siamo ancora in tempo, cioè adesso, e non quando sarà troppo tardi. La consapevolezza al proposito comincia peraltro a farsi strada. In Consiglio nazionale un’iniziativa cantonale di Argovia per il divieto di nascondere il volto in luoghi pubblici è stata respinta solo per pochi voti. E, giovedì, il Consiglio nazionale ha approvato a larga maggioranza una mozione del deputato UDC Hans Fehr che chiede l’introduzione di un “divieto nazionale di mostrarsi in pubblico a volto coperto”.
Ci si rende quindi conto che il problema esiste. Il discorso non vale per il mondo politico ticinese, abituato ormai da due decenni a negare la realtà pur di non dar ragione alla Lega. L’iniziativa contro il burqa, firmata da 12mila cittadini, va presa sul serio perché è seria. E solleva un problema serio. Che tra l’altro viene dibattuto ovunque. L’importante numero di sottoscrizioni raccolte lo dimostra. L’iniziativa deve quindi essere sottoposta al popolo nei tempi prescritti e non certo imboscata in nome del politikamente korretto cui ormai non crede più nessuno. L’esito di una votazione popolare sul burqa è peraltro pressoché scontato. E’ forse proprio per questo che non la si vuole?
Lorenzo Quadri