Alla faccia dell’integrazione! Dopo la giornalista norvegese allontanata perché portava il crocifisso

C’era da aspettarselo e puntualmente è successo. In Germania tra gli immigrati di religione islamica si è diffusa una giustizia parallela regolata dalla sharia, invece che dalle leggi tedesche. Il fenomeno è sempre più visibile nella misura in cui la presenza musulmana aumenta. Il quotidiano Die Welt riferisce che non interessa più solo le grandi città, ma diventa diffuso. In particolare sono le famiglie libanesi, palestinesi e curde a mantenere strutture da clan anche in Germania, non riconoscendone lo Stato di diritto.

Questa situazione, ampiamente prevedibile, non può che generare preoccupazione. Dimostra come la politica della multikulturalità, voluta dalla $inistra politikamente korretta, sia completamente fallita. Gli indicatori al proposito si moltiplicano. Non solo in Germania.

La scorsa settimana si è verificato il caso della giornalista norvegese, rea di  aver presentato il telegiornale indossando un ciondolo con una piccola croce, regalo del marito.  La comunità islamica locale è insorta, dichiarando che la croce offende l’Islam. E la giornalista è stata sospesa dall’emittente.

Reazioni indegne
E’ ovvio che, se la reazione della comunità islamica è indegna, altrettanto lo è quella dell’emittente che, per non “offendere” gli ultimi arrivati, offende tutti gli altri. E’ comunque ovvio che, se ci sono cittadini musulmani che si sentono offesi dalla croce cristiana, questi ultimi possono fare una sola cosa, ossia tornare subito da dove sono venuti. Perché è evidente che non sono nella condizione di vivere in Occidente.

In Germania con la sharia la situazione è analoga. Ci sono immigrati che non accettano le leggi tedesche ma intendono continuare a seguire le loro regole tribali. E il fenomeno si intensifica, secondo Die Welt (che non  è il Mattino della domenica). Questo dimostra l’incalcolabile danno fatto dalla politica buonista della frontiere spalancate, che ha rifiutato e tuttora rifiuta di imporre chiare regole all’immigrato, perché non permettere a quest’ultimo di fare tutto quello che gli pare in casa nostra è razzismo, xenofobia e – se il migrante è musulmano – islamofobia.

La fatwa morale
Se in Norvegia una giornalista non può più portare un piccolo crocifisso, se in Germania sempre più gruppi musulmani non riconoscono lo Stato di diritto e vivono secondo la sharia,  vuol dire che occorre cambiare marcia.

I politikamente korretti usano a sproposito termini come “razzismo”, “xenofobia”, “islamofobia” per denigrare chi non è d’accordo di svendere il proprio paese perché “bisogna aprirsi”. In questo modo contano di ridurre al silenzio gli avversari della deleteria politica delle frontiere spalancate con una fatwa morale.

Essendosi autoattributi il monopolio sulla morale, i $inistri e radikal-chic ci hanno inculcato che venire considerato razzista, xenofobo o islamofobo è quanto di peggio possa capitare. Chi  viene colpito da questa accusa porta un marchio d’infamia: diventa, di conseguenza, in un reietto.

Non caschiamoci
Ebbene, basta non cascare nel trucchetto. Acquisendo la consapevolezza che la $inistra  ed i  radikal-chic  non detengono affatto il monopolio sulla morale.

Pretendere dall’immigrato che si adegui a quello che trova dove si trasferisce non è né razzismo né islamofobia, è un semplice principio di buonsenso. E il rispetto delle nostre leggi, delle nostre usanze, dei nostri modi di vita non bisogna elemosinarlo dall’immigrato. Va semplicemente imposto. Questo non è stato fatto, ed è giunto il momento di correre ai ripari prima che il danno sia irreparabile. Bisogna che le cose siano messe in chiaro subito. Chi arriva si adegua, chi non vuole farlo non viene o, se è già qui, parte. Società parallele con le leggi parallele non verranno tollerate. Ed è l’immigrato che deve adattarsi alle nostre regole; in nessun caso il contrario.
Lorenzo Quadri