La scoperta non è certo di quelle piacevoli. L’Unione svizzera delle arti e mestieri USAM si è accorta che il fenomeno della spesa transfrontaliera a) esiste in tutta la Svizzera (e quindi non si tratta della solita paturnia dei Ticinesi con manie di persecuzione) e b) è ben più ampio del previsto. Se infatti uno studio del Credit Suisse cifrava il fenomeno in 5 miliardi di Fr all’anno, adesso ci si rende conto che il montante deve venire portato ad 8 miliardi. 8 miliardi di Fr che potrebbero venire spesi nei commerci elvetici ma che, invece, tornano a beneficio di quelli d’Oltreconfine. Siano essi italiani, o francesi o tedeschi.
Questi 8 miliardi di traducono, ovviamente, anche in posti di lavoro persi o non creati. Swiss Retail calcola che ad ogni 300mila Fr corrisponda ad un posto di lavoro. Di conseguenza 8 miliardi equivalgono a quasi 30mila impieghi. Che potremmo avere in Svizzera, ma che non abbiamo.
L’USAM ha quindi dato il via ad una campagna per sensibilizzare la gente a fare la spesa senza andare oltreconfine. Una campagna che comincia a raccogliere qualche frutto. Il problema è che, vista la forza eccessiva del franco, fare la spesa all’estero, soprattutto per i ticinesi, diventa assai attraente. All’aspetto economico si aggiunge l’annosa questione degli orari di apertura dei negozi. Mentre da noi in Ticino tali orari sono rigidi, vetusti, lontani dalle esigenze di abitanti e turisti e, colmo dei colmi, l’unico centro commerciale aperto la domenica da quasi un ventennio rischia di venire chiuso “manu militari” dalla direttrice del DFE per la quale evidentemente il pedissequo rispetto dei cavilli è più importante dell’economia del Cantone, appena oltreconfine fioriscono i centri commerciali aperti 7 giorni alla settimana, fino alle dieci di sera, dietro decreto comunale. Centri che – e i loro promotori lo indicano apertamente – puntano con decisione alla clientela ticinese, potendo contare su orari flessibili e prezzi chiaramente concorrenziali.
A questo si aggiunge che un’ex regia federale tenuta in piedi con soldi pubblici, ovvero le FFS che hanno appena “staccato” un credito della bellezza di 9.5 miliardi di Fr per il quadriennio 2013-2016, sono riuscite a partorire, in alcuni Cantoni della Svizzera centrale, la geniale trovata di creare dei biglietti sconto per chi va a far la spesa in Germania. Un’iniziativa a dir poco insultante che trasuda una miopia economica e politica sconvolgente.
In Ticino
In Ticino il frontalierato della spesa è assai diffuso. Per molti è purtroppo una necessità per far quadrare i conti. E’ inutile raccontarsi storielle. La popolazione, a seguito della libera circolazione delle persone e dei suoi regali avvelenati come disoccupazione e dumping salariale, è sempre più povera. I salari ticinesi non crescono ma semmai diminuiscono a causa della pressione provocata dalla presenza, appena “fuori porta”, di un bacino pressoché sterminato di manodopera a basso costo. Gli impieghi si fanno sempre più precari. In quelli che una volta erano considerati posti sicuri (banche, assicurazioni,…) i dipendenti, compresi quanti possono vantare decenni di onorato servizio, devono aspettarsi di venire lasciati a casa e sostituiti da un giorno all’altro con un frontaliere pagato la metà. Sui costi della vita, evoluzione dei premi di cassa malati in primis, stendiamo un velo pietoso.
Non per tutti quelli che la fanno, però, la spesa in Italia è necessaria. E allora bisogna fare tutto il possibile perché questo fenomeno venga ridotto al massimo. La campagna dell’USAM è un primo passo. Ma bisognerà pensare anche a misure più incisive. Perché il circolo è vizioso: spesa in Italia uguale danno all’economia ticinese uguale licenziamenti e perdita di entrate fiscali uguale maggiore povertà.
In questo contesto si inserisce giocoforza una maggiore elasticità degli orari di apertura dei negozi in Ticino, previe garanzie contrattuali ai dipendenti.
Sembra lapalissiano, ma i primi a dover dare il buon esempio evitando lo shopping transfrontaliero dovrebbero essere quanti ricoprono una carica pubblica. Il fatto che nemmeno questo obiettivo, veramente minimalista, sia raggiunto, è una spia di quanto lavoro ci sia da fare per disincentivare la spesa oltreconfine.
Lorenzo Quadri