Ristorni, il blocco sarà sempre d’attualità
Almeno fino a quando sarà in vigore la Convenzione del 1974 con il Belpaese
Quando si dice “parlare per dare aria ai denti”. E’ il caso di alcuni sindaci dei Comuni della fascia italiana di confine, i quali credono di essere nella posizione di poter fare la voce grossa col Ticino sui ristorni dei frontalieri.
Ristorni che non sono più dovuti dal momento che si basano su una Convenzione di quarant’anni fa, superata dagli eventi e – come se non bastasse – violata proprio dall’Italia. Quindi in effetti i ristorni non dovrebbero essere bloccati, ma proprio annullati.
Come da copione, i sindaci in questione si sono guardati bene dal prendere posizione prima della decisione del Consiglio di Stato sul blocco dei ristorni. Non sia mai che… Lo fanno ora, partendo dal presupposto molto italico che, “passata la festa, gabbato lo santo”.
E’ ovvio che in Ticino, piaccia o non piaccia ai sindaci italiani della fascia di confine, il blocco dei ristorni sarà sempre un tema d’attualità, una spada di Damocle con cui dovranno confrontarsi sia Berna che la Penisola. E a sud di Chiasso nessuno si può sognare di fare la verginella e di denunciare ultimatum e ricatti. Altro che ultimatum, altro che ricatti: nei rapporti tra Svizzera ed Italia c’è solo una parte ad essere inadempiente su tutto, ed è l’Italia.
Chi è inadempiente?
Gli stessi sindaci della fascia di confine ammettono candidamente che senza i ristorni i loro Comuni chiudono bottega. Peccato che i ristorni non servano per incerottare i buchi di gestione corrente, bensì per opere infrastrutturali. Opere che non sono state fatte finora, e che non vengono fatte nemmeno adesso. Dice niente il nome “Stabio-Arcisate”?
A ciò si aggiunge l’iscrizione della Svizzera su liste nere italiane illegali, l’applicazione a senso unico da parte italiana della devastante libera circolazione delle persone (di cui però il Belpaese approfitta a piene mani quando si tratta di usarci come valvola di sfogo per la sua catastrofica situazione occupazionale) e le altre discriminazioni grandi e piccole di cui non vogliamo star qui a snocciolare la litania per l’ennesima volta. Certi amministratori comunali, dunque, prima di pontificare, farebbero bene a pensare cosa succederebbe se non ci fosse il Ticino a dare lavoro – troppo spesso a scapito dei residenti – ai loro concittadini.
A tirare la corda…
Da manuale, dunque, l’uscita del sindaco di Lavena Ponte Tresa, che dichiara: “È giusto portare avanti le trattative, ma non a suon di ultimatum e minacce di blocco ristorni”.
Ohibò, qui c’è qualcuno che proprio non ha capito da che parte sorge il sole.
Senza la minaccia del blocco dei ristorni, la vicina Penisola prenderebbe ancora più per i i fondelli gli svizzerotti fessi e ligi alle regole. Senza la minaccia del blocco dei ristorni, il Consiglio federale non avrebbe mai preso con il Ticino un impegno preciso sulla tempistica con cui portare a casa dei risultati nelle trattative con l’Italia.
Chi tassa?
Non ancora contento, il sindaco di Lavena Ponte Tresa aggiunge: «Il rischio è che tirando la corda si possa arrivare al punto in cui ogni Paese tassa i propri frontalieri, facendo quindi perdere al Ticino il 60% di quella tassazione».
Questa è proprio una barzelletta. Semmai, se tira troppo la corda, è l’Italia a restare con un pugno di mosche e la Svizzera a prendersi tutto il provento fiscale dei frontalieri.
Una cosa è certa e sta scritta nero su bianco: se entro la prossima primavera le trattative con l’Italia non saranno giunte ad un esito soddisfacente, non solo il Beltracontento, ma neppure il kompagno Bertoli potranno opporsi al blocco dei ristorni nel giugno 2015.
Lorenzo Quadri