Ticino: alla faccia delle statistiche farlocche della SECO sulla piena occupazione
La SECO, Segreteria di Stato dell’economia, continua a propinare statistiche farlocche. L’ultima fantasticheria è quella sul pieno impiego in Svizzera. Neanche fossimo tornati ai bei tempi degli anni Ottanta. Ma va là!
La storiella della piena occupazione, gli scienziati della SECO possono andare a raccontarla alle decine di migliaia di senza lavoro ticinesi.
L’obiettivo reale di simili sparate è chiaro: starnazzare sulla presunta carenza di manodopera, definita addirittura “molto elevata”. Ö la Peppa! Il che è a sua volta un pretesto per giustificare fallimentari politichette federali. In particolare 1) l’immigrazione incontrollata e 2) i tentativi di integrazione sul mercato del lavoro degli asilanti (per sventarne il rimpatrio).
Ve la diamo noi la “carenza”
Ma come: oltre due decenni di immigrazione senza limiti, con la popolazione della Confederella esplosa del 21%, e ancora si blatera di carenza di manodopera? Vuol dire, come abbiamo più volte rilevato (repetita iuvant) che sono immigrate – e continuano ad immigrare – le persone sbagliate. Ergo, le frontiere spalancate sono un fallimento su tutta la linea. Sicché, sarebbe buona cosa che gli elettori la smettessero di premiare con il proprio voto quei partiti e quei politicanti che insistono nel perorarle!
La presunta “carenza di manodopera” serve anche a sdoganare l’altra immane ciofeca, ossia l’integrazione degli asilanti nel mercato del lavoro.
Forse qualcuno non ha ancora capito che i finti rifugiati devono essere rimpatriati. Non fatti lavorare a scapito degli svizzeri. E il discorso vale anche per i profughi ucraini. Lo statuto S di cui dispongono sarebbe, in teoria, “orientato al rimpatrio”. Invece la casta le tenta tutte per farli restare qui definitivamente.
Il paese dei puff
Che il mercato del lavoro ticinese sia a ramengo (altro che pieno impiego, altro che statistiche della SECO) lo confermano i dati sull’indebitamento.
In Ticino secondo MultiCredit tra il 2019 e il 2022 è esploso il numero di prestiti al consumo, con un’impennata di ben il 400% in tre anni. Certo, la cifra è “grezza”. Per poterla comprendere appieno, servirebbero più informazioni. Ad esempio, occorrerebbe sapere se i ticinesi si indebitano per beni necessari o per spese voluttuarie. Sarebbe anche interessante conoscere la nazionalità degli indebitati. E’ pure verosimile che in certe fasce di popolazione abbia preso piede la tendenza, importata da sud, a vivere al di sopra delle proprie possibilità per fare scena. Tuttavia l’esplosione dell’indebitamento è un dato significativo. E va di pari passo con la differenza tra gli stipendi in Ticino e nel resto della Svizzera. Secondo il rilevamento del 2020, il salario mediano ticinese, comprensivo del settore pubblico e del settore privato, è di circa 5500 franchi al mese, mentre a livello nazionale supera i 6600. Oltre 1000 franchi di differenza! E la forchetta continua ad allargarsi. Salario mediano significa che la metà dei lavoratori guadagna meno, l’altra metà più di quella cifra.
Alle nostre latitudini si assiste inoltre ad una crescente spaccatura tra i dipendenti del settore pubblico (privilegiati) e quelli del privato. Lo stipendio mediano dei funzionari cantonali è di 100mila franchi all’anno in continua crescita; quello dei lavoratori del privato è fermo a 62mila.
“Dömping” salariale
Le paghe ticinesi vengono spinte verso il basso dall’invasione da sud (dumping salariale). E questa non è certo destinata a diminuire. La statistica Eurostat, pubblicata nei giorni scorsi, indica infatti che in Italia un giovane su quattro nella fascia d’età tra i 15 ed i 29 anni è a rischio di povertà: uno dei dati peggiori in Europa. Non serve un premio Nobel per l’economia per immaginare le conseguenze che ciò avrà sul frontalierato. Dove tra l’altro già imperversa il Far West (vedi il post a pagina 9: napoletani con domicili farlocchi sulla fascia di confine che si spacciano per frontalieri).
Gli stipendi ticinesi, “grazie” alla libera circolazione voluta dalla partitocrazia, sono i più bassi della Svizzera; lo stesso non si può invece dire del costo della vita in questo sfigatissimo Cantone. Che – tanto per dirne una – è tra i più colpiti dai salassi sui premi di cassa malati.
Costo della vita svizzero e stipendi sempre più italianizzati: e poi ci si chiede come mai i ticinesi sono i più indebitati del Paese?
Fallimenti record
Il dato sulle procedure di fallimento aziendale nel 2022 parla la stessa lingua. A livello nazionale, il numero dei fallimenti è cresciuto del 6.6%. Tuttavia l’ondata di insolvenze sta perdendo slancio. Non così in Ticino, dove la progressione è stata da record (+323 casi lo scorso anno). Anche su questa cifra possono aver influito fattori esterni: ad esempio i crediti covid, che hanno tenuto artificialmente in vita un certo numero di aziende già decotte prima della pandemia. Finiti gli aiuti, finite anche le aziende.
Oppure la crescente presenza, alle nostre latitudini, di pufatt italici seriali, che aprono e chiudono attività stuccando dipendenti, creditori ed assicurazioni sociali; altro bel regalo della libera circolazione.
Ma questi aspetti non spiegano tutto. L’impennata dei fallimenti in Ticino, in controtendenza con quel che accade a livello nazionale, indica un’economia in sofferenza. Ed è legata alla concorrenza sleale da parte di distaccati e padroncini italiani (sempre dovuta alla libera circolazione delle persone). Va da sé che gli ex dipendenti delle ditte che chiudono i battenti andranno ad ingrossare le fila dei disoccupati. Dietro l’angolo ci aspetta poi lo tsunami dei licenziamenti in casa Credit Suisse ed UBS: vale a dire, migliaia di nuovi senza lavoro che ben difficilmente potranno essere ricollocati in un settore terziario dove il frontalierato è esploso.
Manovra diversiva
Però da Berna i grandi scienziati della SECO cianciano – ad evidenti scopi di politichetta – di piena occupazione e financo di “forte carenza di manodopera”.
Mentre partitocrazia e stampa di regime, quale manovra di distrazione di massa, tentano di imbesuire i giovani ticinesi, destinati ad un futuro di emigrazione, con la menata del “surriscaldamento (?) climatico globale”. Ambito in cui la Svizzera ha possibilità di intervento pari a zero. E il Ticino – ovviamente – ancora meno.
Lorenzo Quadri