Il vento è favorevole per estendere a tutta la Svizzera il divieto ticinese

 

Dopo vari patemi d’animo è finalmente ufficiale: l’iniziativa federale antiburqa ha raccolto le 100mila firme necessarie alla sua riuscita. Sarebbe in effetti stato il colmo se fosse accaduto il contrario, con l’islamismo che dilaga in Europa ed in Svizzera, e con i terroristi islamici che insanguinano l’occidente. Il vento, insomma, è favorevole alla proposta.

Ai tempo dell’iniziativa ticinese…

Ben diversa era la situazione quando si raccoglievano le firme per l’iniziativa antiburqa ticinese. Quella lanciata dal Guastafeste Giorgio Ghiringhelli ad inizio 2011. Quella che ha fatto da apripista a livello nazionale. Ai tempi l’islamismo era ben più sotterraneo.  Chi ne parlava e proponeva di proibire il velo integrale veniva tacciato di occuparsi di “non problemi”. La stampa radikalchic pro islam con questa storia del “non problema” ha riempito paginate e paginate: che, a voler seguire il suo ragionamento, sarebbero state riempite di nulla.

Oggi la situazione è cambiata. Da un recente sondaggio del SonntagsBlick è infatti emerso che il 40% degli svizzeri si sente minacciato dalla presenza islamica nel nostro paese. Il 61% vorrebbe vietare i finanziamenti esteri alle moschee e ai centri culturali musulmani, e l’81% reputa che le autorità elvetiche siano troppo molli nei confronti degli estremisti islamici.

Nel frattempo vari paesi europei hanno introdotto (per la via parlamentare) un divieto di velo integrale.

Il mondo è cambiato

Difficile era dunque la raccolta firme ai tempi dell’iniziativa ticinese. Ancora di più lo era la votazione nel settembre 2013, che ha visto trionfare il divieto di burqa con il 65.4% dei voti. Nei quattro anni trascorsi dalla votazione, rispettivamente nei sei che ci separano dalla raccolta firme, il mondo è cambiato. Sul carro antiburqa sono saliti illustri esponenti internazionali, di tutte le correnti politiche. Solo i kompagnuzzi nostrani, quelli che vorrebbero l’islam religione ufficiale, quelli del “devono entrare tutti”, quelli dei passaporti rossi regalati a stranieri non integrati, quelli del “non si possono espellere i terroristi islamici se sarebbero in pericolo nel paese d’origine”, sono rimasti a combattere e a travasare bile sul divieto di burqa. Lor$ignori hanno addirittura tentato di prendere a schiaffi il 65.4% dei votanti ticinesi: volevano rifiutare la garanzia federale all’articolo costituzionale antiburqa. Ma, come sappiamo, gli è andata buca.

Attenzione agli errori

I tempi sono dunque ampiamente maturi per un divieto di burqa in tutta la Svizzera. E’ quindi sorprendente che l’iniziativa nazionale abbia faticato a raggiungere il numero di firme necessario alla sua riuscita. Una stranezza che solo problemi organizzativi dei promotori possono spiegare. Attenzione però a non dare per scontata la vittoria in votazione popolare, perché “chi entra papa esce cardinale”. La campagna in vista dell’appuntamento con le urne dovrà essere condotta nel modo “giusto”. Ciò che per la raccolta firme non è stato sempre il caso. I promotori non devono nascondersi dietro la questione della sicurezza pensando di schivare le accuse di islamofobia. Perché il vero tema è un altro: la difesa dei nostri valori e delle nostre libertà dall’ ondata islamista; la necessità di renderci territorio off limits per gli estremisti musulmani. Certamente la “dissimulazione del viso” pone anche dei problemi di sicurezza, visto che sotto lo strofinaccio nero si può nascondere chiunque. Ma per risolvere questo genere di problemi non serve una modifica costituzionale; basta un’ordinanza governativa. Se si scomoda la “Carta fondamentale dello Stato” è perché la battaglia si gioca a questo livello: quello dei diritti fondamentali, appunto.

Lorenzo Quadri