Qualcuno a Berna non ha capito che nel settore dell’asilo bisognerà tagliare alla grande
Altro che “aumentare gli spazi a disposizione”: bisogna diminuire gli occupanti! Avanti con i RIMPATRI!
E ti pareva! Come da copione, anche in piena emergenza coronavirus c’è chi si preoccupa – e spende e spande soldi pubblici – per i finti rifugiati con lo smartphone.
Di conseguenza la Confederella, e più precisamente la Segreteria di Stato della migrazione (SEM), ha deciso di riaprire i centri per finti rifugiati che erano stati chiusi in autunno. Questo affinché i migranti economici dispongano di più spazio. Ci saranno quindi a disposizione 4000 posti in più.
Ohibò! E se invece di aumentare gli spazi a disposizione si diminuisse il numero degli occupanti? Ovvero, se si cominciasse finalmente a rimpatriare un po’ di finti rifugiati che non scappano da nessuna guerra? Tanto più che, mentre da noi imperversa la pandemia di coronavirus, nel continente nero il problema non c’è, o in misura molto minore? Quindi i rimpatri in Africa fanno bene alla salute.
L’ultima cosa da fare
L’ultima cosa da fare adesso è riaprire i centri aumentando la capacità ricettiva, il che significa far arrivare ancora più migranti economici in Svizzera.
E’ infatti il caso di ricordare che il despota turco ed islamista Erdogan ha aperto le frontiere agli asilanti. Risultato: la Grecia è stata invasa dai migranti (il bello è che la Turchia sarebbe un’aspirante Stato membro dell’UE). E nelle scorse settimane i $inistrati già strillavano che la Svizzera avrebbe dovuto accogliere, ovviamente di propria spontanea volontà, decine di migliaia di migranti, “per dare l’esempio”. Che questi $inistrati, “per dare l’esempio”, comincino ad ospitare un po’ di finti rifugiati in casa propria ed a proprie spese, poi ne riparliamo!
In nessun caso la Svizzera si può permettere di diventare più attrattiva per i finti rifugiati tramite iniziative da primi della classe. E’ il momento di aiutare i cittadini elvetici!
Pericolo per la salute
E che la presenza di migranti economici, specie nel periodo attuale, rappresenti un pericolo per la salute, lo indicano anche le cronache del Belpaese. Nei giorni scorsi all’Hotel Parlapà di Alpignano (Torino), trasformato in centro d’accoglienza, ci sono stati disordini e proteste. I finti rifugiati devono stare in quarantena a seguito della scoperta di alcuni “ospiti” positivi al coronavirus. Ma i diretti interessati non ci stanno: “Vogliamo andare in paese, qui non rimaniamo, vogliamo tabacco e caffè”, reclamano. C’è anche chi ha praticato dei buchi nella recinzione attorno all’albergo per uscire abusivamente.
In altre parole, i finti rifugiati rifiutano di sottostare alle regole che valgono per gli italiani. Gli abitanti di Alpignano hanno adesso paura che qualche ospite positivo porti il contagio all’esterno. E i politici locali (solo quelli di “destra”, ovviamente; gli altri strillano al razzismo) chiedono sanzioni severe per gli asilanti che violano la quarantena, mettendo in pericolo la salute pubblica.
Qualcuno immagina che situazioni del genere non si verificheranno anche da noi?
In Calabria
Intanto, molto più a sud, in Calabria, la regione ha stanziato un credito di due milioni di euro, attinti da finanziamenti europei (ecco a cosa serve la fallita UE) e statali. Per materiale sanitario? Per strutture ospedaliere? Per acquistare nuovi respiratori? No: i milioni vengono stanziati per l’assistenza ai migranti, compresi quelli nei cosiddetti insediamenti “informali”; che poi significa “illegali”. Quindi, invece di rimpatriare i migranti economici, si spende per farli restare. Però poi i vicini a sud agli svizzerotti dicono che non possono riprendersi i rifugiati in base agli accordi di Dublino – che a quanto ci consta, sono ancora in vigore – perché c’è il coronavirus!
Concentrare le risorse
La pandemia da coronavirus ha messo in ginocchio l’economia elvetica e pertanto le risorse pubbliche dovranno venire concentrate lì. La spesa per l’asilo, come i regali all’estero, andranno per contro drasticamente ridotti.
Quindi, avanti con i rimpatri e frontiere chiuse ai migranti economici.
Lorenzo Quadri