Lugano, la polemica pasquale è durata poco: la croce d’acciaio resta al suo posto
Ecco servita la telenovela pasquale della città di Lugano: ovvero la croce d’acciaio dell’artista albanese dal nome impronunciabile ed intrascrivibile, piazzata – con sommo scandalo di taluni dirigenti museali, collezionisti, intellettualini vari ed ex politicanti – davanti alla Chiesa degli Angioli.
Le opere dello scultore albanese sono sparpagliate in tutto il centro cittadino. A portarle in città, l’imprenditore Riccardo Braglia. Le cui iniziative, evidentemente, danno fastidio ad una certa élite che si immagina di essere padrona della città.
Sul valore artistico delle opere non siamo in grado di disquisire; del resto, in via Monte Boglia siamo dei “beceri leghisti nemici della kultura”. L’effetto scenico, tuttavia, è sicuramente dato. E, se le opere sono state esposte a Venezia e a Firenze, proprio delle ciofeche non devono essere. Se poi si pensa a tutte le brutture che senza remore vengono acclamate come “capolavori contemporanei” per farne salire le quotazioni a beneficio delle scarselle dei proprietari…
Il “lieto fine”
Come noto, dopo qualche giorno di polemica, alla fine il municipio di Lugano ha deciso che la croce d’acciaio, malgrado le proteste del MASI e di altri akkulturati, resterà dov’è ora fino alla fine dell’esposizione, ovvero fino al 22 settembre; e quindi non verrà spostata dopo Pasqua. Tiè!
Il lieto fine, se così si può chiamare, non deve però nascondere quanto accaduto in precedenza. Ovvero, che MASI e dintorni pretendevano lo spostamento dell’opera adducendo quei pretestuosi argomenti spesso utilizzati dalla precedente capodicastero cultura per osteggiare proposte altrui: “non c’è la qualità richiesta”, “genera confusione con le iniziative museali” eccetera.
Le pressioni
Bersagliato dalle critiche e caduto in preda al panico, il MASI mercoledì sera ha pensato bene di diramare un comunicato in cui addirittura afferma di non aver mai chiesto la rimozione della croce. Una fandonia clamorosa. Certamente il Museo non ha messo la richiesta per iscritto. Ma ha fatto pressioni affinché l’opera venisse sloggiata, e perché ciò avvenisse addirittura prima di Pasqua.
Vero, per contro, che il problema non è mai stato il fatto che la scultura raffiguri una croce. E ci sarebbe mancato altro; del resto, dietro c’è una chiesa (e che chiesa!). Ma in questo periodo di indecente genuflessione agli islamisti e conseguente negazione delle nostre radici cristiane, ci si sarebbe anche potuti attendere il peggio.
“Giò do dida!”
Inaccettabile è però la pretesa di MASI ed addentellati di comandare non solo all’interno delle proprie sale, ma perfino sul suolo pubblico. A questi intellettualini ed ai loro supporter va chiarito che non hanno affatto facoltà di decidere cosa si espone su una piazza. Perché il suolo pubblico non è “cosa loro”; nemmeno quello in prossimità del LAC.
Forse questi intellettualini pensano che ogni desiderio della kultura – la loro – sia un ordine. Non è così. Sicché lorsignori, invece di pretendere di dilagare, si preoccupino semmai di generare il tanto decantato indotto economico della cultura (questa volta con la “c”). Perché, sia detto per inciso, i toni trionfalistici adottati nelle conferenze stampa sono una cosa. La realtà un’altra. E parla di tanti milioni di Fr che i cittadini luganesi versano ogni anno al settore. Ai quali va aggiunta la stratosferica fattura dell’edificazione del LAC, inteso come edificio, e della sua gestione e manutenzione.
Lorenzo Quadri