L’esempio della SECO fa scuola – intanto nel Canton Ginevra da tempo sanno che il margine di manovra per favorire i residenti esiste eccome…
Che l’invasione dei frontalieri non solo sia in atto, ma peggiori sempre, è un dato di fatto confermato dalle cifre. Ne bastano un paio: quelle che abbiamo sentito a più riprese in questi giorni, ma che è bene ricordare.
Punto primo: nel giro di un anno le persone occupate in Ticino sono aumentate di 4000 unità. Ma anche i frontalieri sono 4000 in più. Da notare che per “occupata” le statistiche federali intendono una persona che ha lavorato almeno un’ora nella settimana di riferimento. Quindi un concetto che è ben diverso da quello di “occupato” nel senso corrente del termine. I posti di lavoro effettivamente creati sono dunque molti meno di 4000. I permessi G, invece, sono lì da contare.
Punto secondo: i frontalieri sono ormai 62’500, 2500 solo nel primo trimestre del 2014. Il 70% dei nuovi frontalieri lavorano nel terziario. Ciò lascia sospettare (eufemismo) che, alla faccia della volontà popolare chiaramente espressa, gli ambienti economici se ne impippino dell’esito della votazione del 9 febbraio e continuino ad assumere frontalieri a tutto andare.
Dimostrare cosa?
La scorsa domenica, dalle colonne del Caffè della Peppina, il domenicale partitico antileghista che ancora si titilla (chissà come mai?) con la storiella dei frontalieri indispensabili all’economia cantonale, specie quelli negli uffici trattandosi di professioni per le quali notoriamente non si trovano candidati ticinesi, la direttrice del DFE Laura Sadis ha espresso la propria posizione. In termini inquietanti.
Secondo Sadis i dati di cui sopra “non sono la prova di una sostituzione sistematica dei residenti con frontalieri”. Ah no? Il numero dei frontalieri aumenta in modo – per i motivi detti sopra – nettamente più marcato rispetto a quello dei posti di lavoro. Il 70% dei nuovi frontalieri lavora nel terziario. E questa non è sostituzione sistematica? O vogliamo giochicchiare sul concetto di “sistematico”?
Fa poi specie il riferimento della direttrice del DFE, in perfetto stile SECO, ai dati che non ci sono – o dai quali “non risulta”. Ohibò, ma l’osservatorio del mercato del lavoro a cosa serve, se non ha questi dati?
Come il Titanic
Evidente è una cosa: invece di ammettere l’emergenza chiaramente in corso, chi in primissima fila è chiamato a risolverla si arrampica sui vetri per minimizzarla; per non fare i compiti. La realtà non esiste: contano solo le cifre delle statistiche taroccate. E’ chiaro che con un’impostazione del genere non si va da nessuna parte. Ci si limita a guardare il Titanic che affonda: dalle statistiche non risulta che la nave stia imbarcando acqua, inoltre l’orchestrina continua a suonare per cui vuol dire che va tutto bene, e non è assolutamente vero che il transatlantico si sta inclinando su un fianco: sono tutte balle della Lega populista e razzista.
Intanto a Vernier…
A quanto sopra si aggiunge il consueto mantra del “margine di manovra nullo”.
A dimostrazione che il margine di manovra, invece, esiste eccome, il caso di Vernier e dello stabilimento Ikea. Il comune ginevrino ha imposto, come clausola per il rilascio della licenza edilizia al nuovo capannone, che Ikea si impegnasse a privilegiare la manodopera locale, e che impiegasse almeno il 40% di residenti.
Si potrebbe dire che il 40% è poco. Ma è molto di più del 10% della Gucci di Sant’Antonino. Tanto per fare un esempio.
Il margine c’è
Il risultato “lemanico” è incoraggiante: nei giorni scorsi il portale Tio ha indicato che l’obiettivo è stato ampiamente raggiunto, nella misura in cui i frontalieri sono solo il 12% dei dipendenti. Il 46% risiede nel Comune di Vernier.
Da notare che l’accordo tra Ikea ed il comune ginevrino è stato stipulato assai prima della votazione del 9 febbraio. Ulteriore dimostrazione che il margine di manovra c’è. Solo che la ministra delle finanze PLR non lo vuole utilizzare. Preferisce scimmiottare la SECO e nascondersi dietro le statistiche.
Lorenzo Quadri