Il problema del frontalierato non esiste solo in Ticino. Esiste anche in altre regioni di confine ed in particolare in Romandia. Tuttavia, non è così grave come in Ticino. Ad esempio a Ginevra i frontalieri sono circa 70mila su mezzo milione di abitanti. Non sappiamo come siano messi sul Lemano quanto a padroncini, ma certamente meglio di noi. Per il semplice fatto che il territorio francese al di là del confine elvetico, a differenza di quello italiano, non pullula di piccole aziende ed artigiani nell’impellente bisogno di sbarcare il lunario ed abituati a non pagare le tasse (anche perché se le pagassero andrebbero in bancarotta).
Lo stesso Corriere di Como, un paio di settimane fa, quando era stato reso noto che i frontalieri nel nostro Cantone avevano ormai raggiunto quota 60mila, aveva titolato in prima pagina che il Ticino è l’ammortizzatore sociale della provincia di Como (e non solo). A farne le spese, ovviamente, sono i residenti. Questo perché di posti di lavoro per tutti non ce ne sono. Prima della devastante libera circolazione delle persone, i residenti avrebbero avuto la precedenza nelle assunzioni. Il datore di lavoro elvetico non avrebbe ottenuto il permesso di assumere un frontaliere se non avesse dimostrato di non aver trovato un residente. Il sistema funzionava. I frontalieri c’erano comunque: ma erano quelli che servivano effettivamente all’economia ticinese. Quindi, anche in regime di contingenti e senza libera circolazione delle persone, l’economia è in grado di procurarsi i frontalieri di cui necessita.
Le frottole che ci hanno raccontato
Con la libera circolazione delle persone, gli spalancatori di frontiere hanno distrutto il giocattolo. A seguito degli accordi bilaterali, siamo stati invasi da frontalieri che vengono assunti al posto dei residenti. Un fenomeno deleterio a cui bisogna assolutamente mettere un freno. Il Consiglio federale, prima della votazione sui bilaterali nel 2000, aveva garantito che niente di quel che sta accadendo ora in Ticino sarebbe successo. Non ci sarebbe stato dumping salariale, non ci sarebbe stata sostituzione di lavoratori residenti con frontalieri, l’immigrazione dall’UE sarebbe stata limitata. Tutte fregnacce, dalla prima all’ultima. La disparità tra la situazione economica italiana e quella elvetica è così abissale che, togliendo le frontiere, l’invasione era scontata. Avessimo parlato tedesco, saremmo stati tutelati dalla lingua. Invece parliamo italiano. Adesso ci troviamo esposti, senza alcuna difesa, all’invasione da sud. Con la prospettiva di ritrovarci nelle condizioni della Lombardia, quale logica conseguenza della legge fisica dei vasi comunicanti.
In queste condizioni è assolutamente impensabile non reagire nascondendosi dietro il mantra del “sa po fa nagott” e attendendo passivamente la catastrofe perché gli accordi internazionali vanno rispettati. Gli accordi internazionali vanno rispettati ma non al costo di un disastro sociale.
Iniziativa mancante
In Romandia in un modo o nell’altro i governanti aguzzano l’ingegno a tutela delle chance occupazionali dei residenti. Con soluzioni che non sono necessariamente in linea con un’interpretazione pedissequa della libera circolazione delle persone. Ma “à la guerre comme à la guerre”.
In Ticino, questo spirito di iniziativa è assente nella maggioranza politica. Ciò è incomprensibile. Per almeno due motivi. Primo: in tutta la Svizzera, siamo quelli che stanno peggio. Secondo: i nostri vicini italici non rispettano gli accordi internazionali neanche per sbaglio. Ci forniscono dunque un ottimo assist per fare la stessa cosa. Un assist che noi non cogliamo. Come mai? Visto che la nostra burocrazia è esperta nel creare difficoltà e lungaggini, perché ad esempio queste difficoltà e lungaggini non possono essere create quando si tratta di rilasciare nuovi permessi G o notifiche per padroncini? E’ chiaro che anche in questo ambito vitale paghiamo a caro prezzo l’immobilismo che caratterizza il DFE e la sua direzione politica PLR.
Lorenzo Quadri