Non  servivano doti divinatorie particolari per sapere che il governo Letta non avrebbe mangiato la colomba pasquale. Si poteva però pensare che almeno fino alle frittelle di carnevale sarebbe arrivato. Invece neanche quello. Altro che, come diceva Letta, “vado in Svizzera a riprendere i soldi degli italiani” (come se li avessimo rubati). 

Sicché l’Italia si trova ora con l’ennesimo premier non eletto da nessuno (se non forse dal proprio ego debordante).

Intanto però le aquile bernesi andavano avanti come se niente fosse a trattare con Letta (ovvero a farsi infinocchiare) come se quest’ultimo fornisse una qualche garanzia di stabilità.

La ministra del 5% Widmer Schlumpf sarà delusa. Pensava già di poter calare le braghe anche con l’Italia, svendendo gli interessi del nostro Cantone pur di avere un accordo con l’Italia: tutto per poter dire ai falliti di Bruxelles – che evidentemente sono i suoi padroni – di aver fatto i compiti.

Qual è l’unico “zuccherino” che il Ticino potrebbe ricavare da un accordo con l’Italia? La revisione del trattato, vecchio di quarant’anni, sui ristorni delle imposte alla fonte dei frontalieri. Per il resto, è chiaro che il prezzo delle concessioni della ministra del 5% alla Penisola bancarottiera graverebbe in massima parte, per l’ennesima volta, sul nostro Catone. Ebbene: se si lascia fare a Widmer Schlumpf anche questo zuccherino andrà in niente. Alla Consigliera federale in carica senza i voti, dei ristorni dei frontalieri non gliene potrebbe fregare di meno: neppure sa cosa siano.

Da notare, e questo lo ripeteremo ad oltranza, che, per puro tornaconto elettorale, la vicina penisola, mantenendo l’attuale accordo sui frontalieri, rinuncia ad entrate fiscali di oltre 200 milioni di euro all’anno e tollera una clamorosa disparità di trattamento tra cittadini italiani (quelli che lavorano in patria e quelli che lavorano in Ticino). Questo perché i frontalieri votano e quindi chi gli aumenta le imposte…

Vista poi la difficoltà (eufemismo) che sembrano avere vari esponenti politici e mediatici italiani a rendersi conto, a seguito del voto della scorsa domenica, che in Svizzera il popolo è sovrano e che le decisioni popolari si applicano senza tanti se né ma, è chiaro che di fare concessioni alla vicina penisola non se ne parla nemmeno.

Basti pensare che perfino in Lombardia c’è chi ha pensato di alzare la cresta: dimenticandosi delle centinaia di migliaia di loro concittadini che mangiano grazie al Ticino. Ma chiaramente, grazie alla catastrofica politica del cedimento su tutta la linea, chiunque si crede legittimato a fare la voce grossa nei confronti degli svizzerotti. Anche per questo il voto del 9 febbraio, che ha smentito platealmente il Consiglio federale, è stato una doccia fredda per i paesi falliti i quali, visto l’atteggiamento del Consiglio federale, credevano di avere il via libera per depredare la Svizzera.

Questo vuol dire che con il futuro governo italiano non si tratta un bel niente finché la Svizzera rimane sulle black list italiche illegali. Al quale governo va altresì chiarito che non siamo assolutamente disposti a continuare a fungere da valvola di sfogo per i problemi occupazionali della vicina Penisola a scapito dei ticinesi e dei residenti. Visto che l’Italia non vuole nemmeno rivedere l’accordo sui ristorni delle imposte alla fonte dei frontalieri perché i frontalieri votano, i ristorni non li vede più del tutto. Quanto a concludere delle trattative con l’Italia (cui abbiamo appena regalato 150 milioni senza alcuna contropartita per il corridoio ferroviario di 4 metri) non c’è alcuna fretta: questo anche in considerazione delle capacità (?) negoziali elvetiche.

Come più volte detto e scritto: meglio nessun accordo che un cattivo accordo. E l’esperienza insegna che gli accordi della ministra del 5% non sono cattivi, sono catastrofici.

Lorenzo Quadri