Ad intervalli regolari tornano i tentativi di smantellare l’esercito di milizia, caratteristico della nostra nazione.
Il più recente è l’iniziativa per l’abolizione dell’obbligo di prestare servizio militare, che il Consiglio nazionale ha respinto, e su cui si dovrà pronunciare il popolo.
A giusto titolo l’iniziativa del Gruppo per una Svizzera senza esercito è stata bocciata dal Nazionale: l’esercito di milizia, da molto tempo ormai bersaglio degli attacchi della sinistra, ben rappresenta lo spirito della nostra Willensnation, fondata sulla partecipazione del cittadino alla cosa pubblica e su un conseguente (per quanto sempre più minacciato) rapporto di fiducia tra cittadino e Stato. Del resto anche la politica in Svizzera è “di milizia”. Il principio comune è quello della messa a disposizione di una parte del proprio tempo, al di fuori delle attività quotidiane, nell’interesse della collettività. Questa è una specificità elvetica che, come tale, va difesa senza compromessi dagli attacchi di chi vuole fare strame di tutto ciò che non è omologato UE, e questo con un obiettivo ben chiaro: portare la Svizzera nell’Unione europea. La quale, dal canto suo, tenta di fagocitarci con crasse violazioni della nostra sovranità e della nostra autonomia: sia da parte di singoli Stati membri (si pensi agli spioni fiscali tedeschi ed italiani) che dalla stessa Unione che ora pretende – tanto per dire l’ultima – la ripresa automatica da parte della Svizzera del diritto comunitario. Un’intollerabile violazione della nostra democrazia diretta, di fatto la premessa per un buio ritorno di stampo medievale ai giudici stranieri in casa nostra.
La Svizzera, oggi più che mai, ha bisogno di difendere ed affermare la propria identità ed autonomia. Ed ha bisogno di farsi rispettare. L’esercito di milizia, ossia l’esercito formato da cittadini sulla scorta del vecchio adagio: “la Svizzera non è un esercito, la Svizzera ha un esercito” fa parte a pieno titolo della nostra identità. L’esercito inoltre è un fondamentale elemento di coesione e di integrazione nazionale tra persone provenienti da regioni linguistiche diverse, senza differenziazione di ceto o di formazione. Ma è anche un importante datore di lavoro (in Ticino lavorano per l’esercito 750 persone) e genera ricadute sul territorio: forniture, esercizi pubblici, eccetera.
Né si può pensare che l’esercito possa funzionare col solo volontariato: paesi che non conoscono (più) l’obbligo di prestare servizio militare sono costretti, per raggiungere la massa critica necessaria, a reclutare nei bassifondi o nelle prigioni, con tutte le derive del caso. Fa poi specie che siano i cosiddetti pacifisti ad invocare la fine della milizia e quindi di fatto la creazione di un esercito di professionisti, che – come la storia insegna – può essere molto più facilmente diretto contro la popolazione civile in caso di colpi di Stato. Ciò che non è precisamente “pacifista”.
Nelle attuali contingenze internazionali, sempre più ostili al nostro Paese – di fatto ci troviamo in guerra economica con nostri vicini UE e non solo – in nessun caso possiamo permetterci di indebolire le nostre difese. Dopo anni di “aperture” e cedimenti ad oltranza a livello internazionale, la Svizzera, se non vorrà venire fagocitata e disciolta, dovrà attraversare un processo inverso: di “israelizzazione”, se si vuole usare un paragone ad effetto.
Il modello del cittadino-soldato, come quello del cittadino-politico, fa parte dell’essenza della Svizzera e come tale va difeso. Non è certo un caso che siano gli stessi ambienti politici che si ostinano a pretendere di portarci nell’Unione europea volerli smantellare entrambi: per un secondo fine fin troppo chiaro.
Lorenzo Quadri
Consigliere nazionale
Lega dei Ticinesi