Con grande scorno dei soliti noti, il popolo ticinese lo scorso 22 settembre ha approvato l’inserimento del divieto di portare il Burqa nella Costituzione cantonale.

Al proposito vale la pena ricordare che la presidente della Commissione per la condizione femminile, prima della votazione, se ne era uscita pubblicamente con una presa di posizione a favore del Burqa. Quindi la presidente della citata Commissione (finanziata con soldi pubblici) sostiene la non integrazione e sostiene pure l’oppressione della donna.

Aspettiamo ancora di conoscere la posizione del Consiglio di Stato sulla questione.

Intanto torna alla carica il finanziere franco algerino Rachid Nekkaz il quale dimostra inquietanti manie di protagonismo, oppure un’altrettanto inquietante mancanza di integrazione in una democrazia occidentale, oppure entrambe le cose assieme.

Nekkaz infatti invita le donne a girare comunque col burqa anche dopo la messa in vigore del divieto votato dai cittadini.

Quindi abbiamo un cittadino straniero, residente all’estero, che si permette di incoraggiare violazioni della costituzione ticinese. Nemmeno violazioni di una qualsivoglia regola, ma di una norma che il popolo sovrano ha voluto inserire nella Carta fondamentale dello Stato.
Evidentemente questo signore ha qualche problemino con le regole democratiche, e allora forse gli conviene trasferirsi in paesi deve queste regole, a lui ostiche, non sono in vigore: si troverà molto più a suo agio.

Non abbiamo letto,  ma sicuramente si tratta di una svista da parte nostra, la presa di posizione dei moralisti a senso unico ed in funzione partitica, sostenitori del burqa simbolo di libertà (sic!), che condanna senza mezzi termini l’invito esplicito a violare la nostra Costituzione. Siamo certi che la presa di posizione c’è – come potrebbe essere altrimenti? – ma nella nostra sbadataggine non l’abbiamo vista.

Se il signor Nekkad ha soldi da spendere, e pare ne abbia molti, invece di incoraggiare residenti stranieri in un altro Stato a  violarne le regole, metta a disposizione i suoi fondi per finanziare il rimpatrio al paese d’origine di chi vorrebbe vivere in Ticino come vivrebbe in Afghanistan, ma con più soldi (magari pagati dallo Stato sociale): persone che evidentemente non sono adatte a vivere nel nostro Cantone  visto che non ne condividono le regole più basilari. Poiché  nessuno obbliga costoro ad abitare in un Cantone di beceri populisti e razzisti  – che osano addirittura, in sfacciata violazione del sacro dogma del politikamente korretto, difendere i principi fondanti della società democratica occidentale, invece di gettarli nel water perché bisogna “aprirsi” – sono liberissime di trasferirsi altrove.

Quanto alle vaneggianti dichiarazioni di qualche kompagno, secondo cui con il “divieto di burqa” in Ticino ci sarebbero donne “che non potranno più uscire di casa”, ciò è solo la plateale dimostrazione del completo fallimento del multikulturalismo e dell’immigrazione scriteriata voluta dalla $inistra: ovvero la formazione, in casa nostra, di ghetti completamente avulsi dalla nostra realtà e vergognosamente refrattari alle nostre regole.
Lorenzo Quadri