Calpestati i diritti di chi, giustamente, rifiuta di guardare la televisione e soprattutto di finanziare con i propri soldi un’emittente pubblica che fa strame dei suoi obblighi di equidistanza, trasformando l’informazione in propaganda partitica: e ben lo si è visto dopo il 9 febbraio

La novità che più fa discutere nella modifica della Legge sulla radiotelevisione è quella che riguarda il canone radiotelevisivo. In sostanza, quest’ultimo verrebbe trasformato in una tassa da pagare pro economia domestica, ma anche per le aziende a partire da una determinata cifra d’affari (da fissare dal Consiglio federale) saranno chiamate alla cassa.
Questa modifica è aberrante.  Di fatto diventa obbligatorio pagare per ricevere una prestazione, anche se non la si desidera. Non è ancora obbligatorio guardare la televisione o ascoltare la radio, ma poco ci manca. Non la puoi o non la vuoi guardare? Affare tuo. Ma il canone lo paghi.

Libertà individuale calpestata
Questo modo di procedere è clamorosamente lesivo della libertà individuale, che qualcosa deve pur contare. Il cittadino può avere mille validi motivi per non voler usufruire dei servizi radiotelevisivi. Ad esempio non condivide l’informazione partigiana propinata spesso e volentieri dall’emittente di autocertificato servizio pubblico. Le scandalose derive in cui si è prodotta la  RSI dopo il 9 febbraio basterebbero per una disdetta collettiva. Al cittadino che scientemente rifiuta di usufruire dei programmi radiofonici e televisivi viene tolta la possibilità di dare un valore – e quindi un peso – alla propria protesta.
Le tasse dovrebbero servire a finanziare i servizi di base; ciò che di sicuro non è il caso della radio e della televisione, che non sono esattamente indispensabili, visto che si sta benissimo senza. Altrimenti, avanti di questo passo, si potrebbe far pagare a tutti le imposte di circolazione, anche a chi non ha un’automobile.

Motivazioni colabrodo
Le motivazioni addotte a giustificazione dell’ingiustificabile trasformazione del canone in un prelievo di tipo fiscale fanno acqua da tutte le parti. Arrampicate sui vetri della peggiore specie. Si dice che oggi con i moderni mezzi elettronici (telefonini, computer) praticamente chiunque ha la possibilità di vedere la televisione o di ascoltare la radio senza bisogno di un apposito apparecchio. Punto primo: ci sono persone anziane che non hanno né radio né televisione, ma nemmeno computer o telefonini. Non necessariamente per libera scelta: immaginiamo l’anziano che ha problemi di vista e quindi non potrebbe guardare la tv nemmeno volendo. Ma anche lui è obbligato a pagare.
Punto secondo: telefonini e computer non sono costruiti per fungere da televisori, ma per altri scopi. Il fatto che tra le funzioni di questi apparecchi ci sia anche la possibilità di vedere (male) la televisione o di ascoltare la radio, non è certo imputabile agli acquirenti, né si può pretendere da chi li acquista per gli scopi per cui sono stati fabbricati di far disattivare a proprie spese queste funzionalità “in esubero”.

In pochi?
Il Consiglio federale dice inoltre che la modifica proposta è accettabile perché a non avere una radio o una televisione sono in pochi, si tratterebbe di ca l’1% della popolazione. Questo argomento è a dir poco scandaloso. Allora, visto che i non possessori di apparecchi di ricezione sono pochi, possono essere trattati a pescioni in faccia? Da quando in qua l’essere in pochi significa, automaticamente, avere torto?
L’argomento denota la stessa mentalità che ha portato a discriminare i ticinesi su tutto perché “sono pochi”.

Opting out solo per 5 anni
Il colmo è che si è voluto pure rifiutare l’introduzione di un sistema di un sistema stabile per il cosiddetto “opting out”. Ossia la possibilità di chiamarsi fuori dal pagamento, attestando di non possedere apparecchi radiotelevisivi. Un’autocertificazione, dunque. Davanti alla quale qualcuno potrebbe storcere il naso, dal momento che si pongono i noti problemi di veridicità. Tuttavia, se per rilasciare un permesso B ad un cittadino UE basta un’autocertificazione sui precedenti penali, ci mancherebbe che lo stesso documento non valesse per il canone radiotv. Il parlamento, contrariamente alla maggioranza commissionale che aveva detto njet su tutta la linea, ha accettato l’opting out ma solo per 5 anni.
Né bisogna pensare che il nuovo sistema leverà necessariamente di mezzo la Billag. Infatti la legge prevede esplicitamente la possibilità per il Consiglio federale di delegare la riscossione della nuova tassa a terzi esterni all’amministrazione federale. Ed è chiaro che con “terzi” non ci si riferisce né al Gatto Arturo né al Cane Peo.
In sostanza dunque la modifica della Legge sulla radiotelevisione è l’ennesima inaccettabile violazione della libertà individuale. Inventarsi una tassa per finanziare la SSR è, semplicemente, uno scandalo.
Lorenzo Quadri