Un “marchio di qualità” per chi assume residenti

Dopo averne mangiate cinquanta fette, anche l’Ufficio federale di statistica si accorge che era polenta. Ed infatti dall’ultima indagine dell’UFT emerge che in Ticino ci sono 56mila frontalieri in continua crescita e che questi rappresentano ormai più di un quarto della forza lavoro del nostro Cantone.
Ci voleva l’ufficio federale di statistica per apprendere questa novità. Ma come, la SECO non è appena venuta a raccontare, con tanto di studio farlocco commissionato all’università di Ginevra, che la libera circolazione delle persone non causa alcun problema, che il dumping salariale non esiste, che la sostituzione di lavoratori residenti con frontalieri è solo un’impressione ingannevole (quindi chi è stato licenziato e sostituito da un frontaliere pagato meno può tranquillamente tornare sul posto di lavoro: non è stato lasciato a casa, è solo una sua percezione distorta e non confermata dalla realtà).
Intanto apprendiamo che dall’Italia verrebbero addirittura organizzati dei pulmini per permettere ad aspiranti frontalieri di portare in Ticino curriculi e candidature spontanee. Ma naturalmente per la SECO non c’è alcun problema.
Ovviamente, e non lo si ripeterà mai abbastanza, al problema dei frontalieri si affianca quello, altrettanto grave, di padroncini e distaccati che entrano liberamente in Ticino a lavorare per periodi di durata inferiore ai tre mesi annunciandosi semplicemente per e-mail.
Costoro non solo le tasse e gli oneri sociali non li pagano da nessuna parte, ma retribuiscono i dipendenti secondo i salari italiani e non certo in base alle retribuzioni svizzere. Inoltre, e questo è proprio il colmo, sono addirittura avvantaggiati per quel che riguarda il pagamento dell’IVA nei confronti degli artigiani ticinesi.
Infatti, per prestazioni del valore inferiore ai 10mila Fr, i padroncini UE non pagano l’IVA (mentre gli svizzeri la pagano eccome) e l’importo esentasse può essere cumulato. Sicché basta spezzettare un lavoro da 100mila in 10 tranche da 10mila, e il gioco è fatto (e lo svizzerotto ligio alle regole cornuto e mazziato).

Un impegno da riconoscere
Almeno il settore pubblico, quando attribuisce dei lavori, dovrebbe favorire chi assume residenti. Infatti, chi assume residenti evita a questi ultimi la disoccupazione e l’assistenza; pertanto compie il proprio dovere sociale. Questo impegno merita anche di essere riconosciuto. Di conseguenza il sottoscritto aveva chiesto al Consiglio federale tramite mozione di modificare la legge sulle commesse pubbliche, di modo che le aziende che assumono pochi frontalieri abbiano un plus nell’assegnazione di lavori pubblici, mentre quelle che ne assumono molti ci perdano nell’attribuzione dei punteggi.
Come volevasi dimostrare, la risposta è stata njet poiché la proposta, ma guarda un po’, non sarebbe compatibile con gli accordi bilaterali. Ovviamente in nessun altro paese ci si sarebbe fatti scrupoli di questo tipo davanti alla necessità, sempre più impellente, di salvaguardare il mercato del lavoro locale come pure – e di conseguenza – il nostro tessuto sociale.
E allora bisogna pensare a rilanciare. In quest’ottica, perché non inventarsi un marchio per quelle aziende che assumono residenti invece di frontalieri?
La gente con coscienza sociale, per fortuna, esiste ancora; e magari sarebbe ben disposta a far lavorare le ditte che guadagnano in Ticino e assumono in Ticino, se fosse possibile identificarle facilmente con un solo colpo d’occhio. Ed è inoltre corretto che le aziende che danno prova di “responsabilità sociale” assumendo i “nostri” lo possano anche far sapere. Come detto, ai clienti, o ai potenziali clienti, quando si tratta di decidere a chi dare i propri soldi, questo aspetto potrebbe interessare. Anzi: dovrebbe interessare!
Lorenzo Quadr