Nuovo accordo fiscale sui frontalieri: adesso ne abbiamo davvero piene le scuffie
E’ dal 2015 che i vicini a sud ci prendono per il lato B! Se a Berna non l’hanno ancora capito…
Mozione leghista in arrivo!
E ti pareva! Con la caduta del governo italiano e le annunciate elezioni anticipate, nel Belpaese salta ancora una volta la ratifica del nuovo accordo sulla fiscalità dei frontalieri. Quello che sarebbe dovuto entrare in vigore ad inizio 2023. Almeno così ci era stato assicurato in tutte le salse. Ma è chiaro che, per l’ennesima volta, la promessa non verrà mantenuta.
L’ultima delle priorità
La vicina Penisola il 25 settembre andrà alle elezioni anticipate. Quindi cambieranno sia il governo che il parlamento. Poi bisognerà formare il nuovo esecutivo, ricomporre le Camere, e tutto quel che segue. E’ dunque evidente che passerà ancora un bel pezzo prima che Oltreramina riprendano in mano il dossier dei rapporti con la Svizzera. Per il Belpaese, specie nel momento attuale, la fiscalità dei frontalieri è l’ultima delle priorità. Idem dicasi per gli altri punti, tuttora inevasi, della road map del 2015. E d’altra parte i vicini a sud non hanno alcun motivo di mettersi fretta: “Tanto – si dicono i politicanti tricolore – gli “svisserotti” fessi li teniamo in ballo da ormai più di SETTE ANNI con la storia dell’accordo da rivedere. Loro hanno sempre continuato a pagare i ristorni e ad attenersi alla Convenzione del 1974. E dunque… che motivo avremmo per scaldarci l’urina? Certo che avere a che fare con una controparte così gnucca è una vera goduria!”.
Basta pagare
Come abbiamo ripetuto fino alla nausea, il nuovo accordo sulla fiscalità dei frontalieri è un accordicchio negoziato al ribasso: certo è un po’ meglio della situazione attuale, ma il Ticino avrebbe meritato ben altro considerando che da quasi MEZZO SECOLO continua a pagare all’Italia dei ristorni che di per sé nemmeno sarebbero dovuti. Il Lussemburgo, Stato membro UE, a Germania e Francia non riversa un copeco delle imposte che il Granducato preleva ai frontalieri che vivono in questi paesi. Inoltre, con tutti i disastri che l’esplosione del frontalierato (grazie, Triciclo!) provoca in questo sfigatissimo Cantone, l’esistenza stessa dei ristorni è uno scandalo ed un affronto ai ticinesi.
Ricordiamo di transenna che il Ticino è ormai in testa alla classifica dei Cantoni più poveri della Svizzera. Il mercato del lavoro allo sbando causa invasione da sud (perfino i galoppini della SECO hanno dovuto ammettere, nel 18° rapporto dell’Osservatorio sulla libera circolazione, che la situazione in Ticino “va monitorata”) e la conseguente pressione al ribasso sui salari ne sono, è evidente, le principali cause.
Non vogliamo andarci di mezzo
Noi non ci stracciamo dunque le vesti per il nuovo accordo sulla fiscalità dei frontalieri. Quello che non ci va affatto bene, è andare avanti con la situazione attuale, ovvero con la Convenzione del 1974. L’ennesimo stop italiano a questo punto deve fare saltare il banco. E’ dal 2015 che i vicini a sud ci prendono per il lato B. E’ ora di dire basta. Se i mitomani dell’italica politichetta, per i loro giochini di potere, fanno cadere il governo e vanno ad elezioni anticipate, ovviamente è affar loro. Ma rifiutiamo di andarci di mezzo noi! Tanto più che un nuovo parlamento ci metterà chissà quanto per riprendere in mano il dossier della fiscalità dei frontalieri. Inoltre – proprio in virtù della nuova compagine istituzionale – avrebbe la scusa perfetta per rimettere in discussione tutto, ovviamente a nostro svantaggio. Ed è facile prevedere che i burocrati bernesi, svelti come gatti di marmo, si farebbero infinocchiare ancora una volta.
Mozione a Berna in arrivo
Eh no! E’ ora di darci un taglio! Il tempo è scaduto! Game over! Lo abbiamo detto più volte: a nostro parere, la Convenzione del 1974 avrebbe già dovuto essere denunciata da anni ed i ristorni bloccati, rispettivamente azzerati. Prendiamo però atto che la partitocrazia non ne vuole sapere.
Tuttavia il Belpaese aveva assicurato che, per il primo gennaio 2023, sarebbe entrato in vigore il nuovo accordo. Anche questa promessa, a seguito della caduta dell’esecutivo italiano, andrà a finire in palta. Il minimo che deve fare il governicchio federale a questo punto è dichiarare che la Convenzione del 1974, e con essa i ristorni, decadrà in ogni caso il 31 dicembre del 2022. Punto. Ciò non costituisce affatto uno di quegli strappi che terrorizzano i camerieri bernesi dell’UE. Significa semplicemente rispettare le tempistiche che Roma stessa aveva garantito. Se per il 31 dicembre del corrente anno i vicini a sud avranno ratificato il nuovo accordo, bene (campa cavallo). Se non l’avranno fatto, peggio per loro. Per il periodo tra la disdetta della Convenzione del 1974 e la ratifica del nuovo accordo, non sarà dovuto alcun ristorno. Ed ovviamente il nuovo accordo non avrà effetto retroattivo (ci mancherebbe altro).
Questo significa in concreto che, se le nuove regole invece che col primo gennaio 2023 entreranno in vigore il primo gennaio 2024, per l’anno di grazia 2023 la vicina Penisola riceverà ZERO RISTORNI. Visto che la tempistica l’ha fatta saltare lei, il minimo è che se ne assuma lei le conseguenze: mica noi!
Mozione leghista a Berna in arrivo!
E se il governicchio federale non ha nemmeno gli attributi per compiere questo minimo e doveroso passo, è meglio che chiuda la porta e lasci le chiavi sotto lo zerbino.
Inoltre, a livello cantonale si potrebbe cominciare col reintrodurre qualche misura sui frontalieri ed i dimoranti che era stata abolita proprio per facilitare la conclusione del famigerato accordo fiscale. Ad esempio la richiesta del certificato dei carichi penali pendenti.
Lorenzo Quadri