Recentemente si è verificato un fatto che fa pensare. Ad Emmen i giovani Udc hanno dovuto annullare un dibattito sui musulmani in Svizzera a causa di un’azione di disturbo organizzata dalla AJIS, una delle numerose associazioni islamiche presenti sul territorio nazionale.
A quanto risulta, gli islamisti protestavano per le presunte limitazioni dei diritti dei musulmani, in relazione anche al fatto che a Lucerna i giovani islamici non avrebbero trovato una sala per una loro riunione. E’ quanto meno bizzarro che da un lato ci si lamenti di non godere di sufficiente libertà d’espressione, e dall’altro la si voglia togliere agli altri.
Al di là dei retroscena, quando accaduto è un segnale preoccupante. Non si può accettare che ad una sezione del principale partito politico a livello nazionale (e quindi di indubbia rappresentatività) venga impedito di tenere un dibattito sull’Islam a seguito di un’azione di disturbo organizzata proprio da un’associazione islamica.
Coinvolto nell’operazione è uno svizzero convertito all’Islam, tale Nicolas Blancho, noto per aver dichiarato in TV che è lecito picchiare le donne. Che la televisione pubblica possa considerare un simile soggetto come interlocutore invece di proporre una camicia di forza, sarebbe di per sé già motivo sufficiente per smettere di pagare il canone.
Tornando al nocciolo del problema. Prima di tutto bisognerebbe capire in che modo i diritti dei musulmani verrebbero “limitati”. Se ci si riferisce al fatto che in Svizzera i musulmani non possono fare tutto quello che è loro consentito negli Stati in cui sono al potere, è sacrosanto che sia così. Nel nostro paese vigono le nostre regole, su questo non si può cedere di un millimetro: e chi non è contento (anche se svizzero, vedi Nicolas Blancho) non è di certo obbligato a restare. Invece quindi di impedire dibattiti sulla presenza islamica in Svizzera, o meglio sulla presenza di estremisti islamici in Svizzera, quei musulmani che ritengono di non godere di sufficienti diritti nel nostro paese, dovrebbero chiedersi perché ci rimangono, quando sono liberissimi di trasferirsi in qualsiasi altro posto dove reputino di poter meglio realizzare le proprie aspirazioni. Se poi i Paesi “idonei” hanno altri svantaggi, ad esempio in materia di sicurezza, di tenore di vita o di prestazioni sociali meno facilmente accessibili delle nostre a chi arriva “da lontano”: beh, non si può sempre avere tutto.
Sarebbe poi interessante effettuare un paragone approfondito tra i diritti di cui godono i musulmani in Svizzera e quelli di cui invece dispongono i cristiani nei paesi islamici. Perché c’è come la vaga impressione che non si possa parlare di reciprocità.
Ma quanto accaduto ad Emmen è inaccettabile, oltre che di per se stesso, anche per i meccanismi che rischia di generare: ossia, forme di censura preventiva, per paura di disordini, a dibattiti su temi caldi – e che lo diventeranno sempre di più – quali appunto la presenza islamica in Svizzera.
Ricordiamo che, ai tempi delle vignette danesi su Maometto, la RSI arrivò al punto di censurare preventivamente parti di uno spettacolo del Cabaret della Svizzera italiana (che non può propriamente essere definita come una gang di pericolosi sovversivi) per tema che le battute potessero “offendere” qualcuno. Sono invece i bavagli alla libertà d’espressione, apposti per paura e per smania di politicamente corretto, ad offendere il nostro Stato di diritto.
Il fatto che poi, anche alle nostre latitudini, ci sia chi seriamente parla di recepire nel diritto svizzero forme di sharia, è uno scandalo che, c’è da sperare, non supererà mai lo stadio dell’idea balzana. In altre nazioni le cose sono andate diversamente, e adesso se ne pentono.
Lorenzo Quadri