L’accordo sulla fiscalità dei frontalieri è una manna per l’Italia. Non per noi

La politichetta cantonticinese, con stampa di regime al seguito, è in festa: il Senato italico nei giorni scorsi ha approvato praticamente all’unanimità il “nuovo” accordo sulla fiscalità dei frontalieri (chiamalo nuovo, dopo quasi 8 anni di attesa!).

Francamente non vediamo motivi di giubilo. Come ben detto dal leghista Claudio Zali, presidente del governicchio cantonale, sul CdT di venerdì: “L’intesa conviene all’Italia, ma non molto al Ticino”. In altre parole: la parte del leone la fa la vicina Penisola, mentre i ticinesotti… ancora infinocchiati!

Però la partitocrazia, svelta come un gatto di marmo, nemmeno se ne rende conto. Crede di aver ottenuto chissà quale mirabolante successo! Pori nümm! Ma i nostri politicanti non l’hanno ancora capito che il Belpaese – al contrario della Confederella autolesionista – firma soltanto trattati a proprio vantaggio?

L’accordo fiscale sui frontalieri, da un punto di vista ticinese, è mediocre; per dirla con un eufemismo. Certo, è un po’ meglio della situazione attuale. Ci sarebbe mancato altro. Ma, dopo mezzo secolo di deleteria Convenzione del 1974, il nostro Cantone avrebbe meritato assai di più! Invece, dalla nuova intesa, forse cominceremo a guadagnarci qualcosa dopo il 2034 (!): quindi in un lontano futuro. Sempre che, ora di là, le carte in tavola non cambino ancora una volta.

Ma, nell’attesa, addirittura ci perdiamo! E intanto – oltre al danno, la beffa – concediamo sgravi fiscali ai frontalieri! E’ il colmo: il Triciclo gli sgravi non li accorda al tartassato ceto medio ticinese. Ma i permessi G li ottengono!

Intanto sull’accesso degli operatori svizzeri al mercato finanziario italiano è sempre buio pesto. Ed in più torna alla ribalta l’immane ciofeca del telelavoro dei frontalieri!

Lorenzo Quadri

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