I frontalieri pagheranno più tasse?

La fiscalità dei frontalieri è da anni un tema caldo in Ticino. Per vari motivi. Tanto per cominciare, perché lo statuto fiscale di frontaliere è iniquo. Iniquo doppiamente. Nei confronti degli altri lavoratori frontalieri che risiedono più lontani dai famosi 20 Km dalla fascia di confine (ma questo è un problema interno all’Italia). Ma iniquo anche nei confronti dei lavoratori residenti. La scorsa settimana da queste colonne si illustrava diffusamente come il carico fiscale gravante sui frontalieri a conti fatti risulti inferiore di circa il 15% rispetto a quello dei residenti. A ciò si aggiungono i vantaggi derivanti dal cambio, dal differenziale di costo della vita tra Svizzera ed Italia, dal fatto che i frontalieri non sono tenuti ad affiliarsi ad una cassa malati, eccetera.
Il sistema di imposta alla fonte con ristorno del 38.8% è stato introdotto ormai quasi 40 anni fa, in condizioni molto diverse da quelle attuali (frontalieri contingentati e tenuti al rientro quotidiano al domicilio). Soprattutto, il ristorno è nato come pizzo all’Italia in cambio del riconoscimento del segreto bancario elvetico. Adesso più nessuna di queste condizioni è data.
Anche volendo tralasciare per un attimo, ma solo per un attimo, l’aspetto più devastante della libera circolazione delle persone senza limiti, ossia l’esplosione del numero dei frontalieri con conseguente soppiantamento dei lavoratori ticinesi (un fenomeno di cui perfino il Consiglio federale ha dovuto ammettere l’esistenza) è chiaro che le imposte alla fonte prelevate ai frontalieri, dedotto il ristorno del 38.8%, non coprono nemmeno lontanamente i costi, anche infrastrutturali. provocati dal fatto di trovarsi 50mila auto in arrivo da Oltreconfine che ogni giorno entrano ed escono dal Ticino.

La leva fiscale
L’aspetto più problematico dell’esplosione incontrollata del frontalierato è quello occupazionale a danno dei residenti. La questione fiscale non va però sottovalutata. Da un lato sarebbe sciocco ed autolesionista perdere delle entrate potenziali che poi potrebbero venire utilizzate per promuovere l’occupazione dei residenti. Dall’altro la leva fiscale si può usare in funzione antidumping. Se i frontalieri sono tenuti a pagare più imposte, non potranno più accettare salari assolutamente inconcepibili in Ticino (vedi le segretarie a tempo pieno a 1800 Fr).
Tra i temi oggetto di trattative con l’Italia – trattative che non hanno alcun senso in questo momento, essendo la vicina Penisola di nuovo senza governo – c’è anche la fiscalità dei frontalieri. Ed un’idea comincia a prendere quota. E’ quella contenuta nel postulato presentato dal sottoscritto al Consiglio federale in dicembre. Ossia tassare i frontalieri secondo l’aliquota italiana, di parecchio superiore a quella Svizzera. Il Ticino si tiene la totalità dell’attuale imposta alla fonte, quindi senza ristornare più nulla, incassando ogni anno una sessantina di milioni di franchetti in più. L’Italia dal canto suo perde il ristorno, ma incamera la differenza tra l’aliquota della Penisola e quella ticinese. In sostanza si tratta dunque di abolire lo statuto fiscale di frontaliere. Entrambi gli enti pubblici coinvolti  ci guadagnano in entrate. La discriminazione tra lavoratori italiani viene a cadere. A non essere contenti sarebbero ovviamente i frontalieri costretti a pagare più imposte. Ciò avrebbe un positivo effetto antidumping. La prospettiva potrebbe però essere invisa al padronato, poiché potrebbe comportare delle rivendicazioni salariali al rialzo da parte dei frontalieri.
Tuttavia dalla Camera di Commercio ticinese la reazione che giunge non è di rifiuto. «E’ una proposta attualmente in fase di valutazione e di approfondimento. Come Camera di commercio siamo pronti ad entrare nel merito di una discussione. Non c’è certamente un no in partenza», dichiara il direttore Luca Albertoni.
Lorenzo Quadri