Le firme contro la “riforma rossa” ci sono: ma i raccoglitori insultati e minacciati
Il referendum contro la riforma-Bertoli “La scuola che (speriamo non) verrà” dovrebbe essere riuscito. La conferma ufficiale non c’è ancora, ma il numero di firme raccolte mette al riparo da brutte sorprese.
La riuscita del referendum è senz’altro è una bella notizia: il popolo ticinese si potrà esprimere su un tema di grande importanza politica e finanziaria.
Il disastro dietro l’angolo
Importanza politicaperché, è ovvio, dal futuro della scuola, della formazione scolastica, dipende il futuro della nostra società. E serve a poco riempirsi la bocca con slogan sui ticinesi che “devono essere i migliori” quando poi si pongono le basi per far sì che i “migliori” siano gli altri. Grazie alla devastante libera circolazione voluta dalla partitocrazia, quella che poi ti va ad appoggiare “La scuola che (speriamo non) verrà”, sul mercato del lavoro i giovani ticinesi sono esposti ad una concorrenza vieppiù agguerrita. Sempre più ticinesi, e non solo giovani, dovranno fare fagotto ed emigrare oltregottardo per avere un futuro. Questo è quanto ha voluto il triciclo PLR-PPD-P$ con la libera circolazione delle persone. E davanti a questa realtà, proprio il triciclo ci viene a cianciare di “democrazie della riuscita” e di conseguenti livellamenti verso il basso?
Se la società è selettiva – lo è sempre di più e sappiamo grazie a chi – la scuola non può andare nella direzione diametralmente opposta, perché il disastro è dietro l’angolo.
La “scuola rossa” ticinese sarebbe poi agli antipodi di quel che accade nella maggioranza degli altri Cantoni: e allora una qualche domandina su chi sta toppando bisognerebbe magari porsela.
Ideologia?
Naturalmente si dirà, anzi Bertoli lo sta già dicendo, che il referendum contro “La scuola che verrà” è “ideologico” visto che proviene da “destra” (Udc, Lega e dintorni). Chiaro: per la gauche-caviar tutto quello che arriva dalla parte “sbagliata” non è mai la risposta ad un problema reale; sono solo pippe mentali in nome di un’ “ideologia”, intesa come sinonimo politikamente korretto di “fissazione da rimbambiti”. Ma bravi! E la scuola rossa proposta dal DECS – da cui i partiti cosiddetti di centro si sono fatti infinocchiare –, forse che non è ideologica?
La scuola è di tutti
Il passato recente (votazione sulla civica) ha confermato che non necessariamente il popolo ticinese condivide le posizioni sulla scuola della $inistra al caviale. Quest’ultima considera la scuola pubblica come proprio territorio esclusivo. Ma si dimentica che essa è, come dice il nome, pubblica. Quindi di tutti i cittadini. Compresi quelli che ro$$i non sono.
Proprio perché la scuola è di tutti, è importante che alla votazione sulla “scuola che verrà” partecipino tutti. Non avere figli, o non averne più in età scolastica, non è un motivo per chiamarsi fuori. Anzi, a maggior ragione chi dovrà pagare il costo esorbitante della scuola rossa (6.7 milioni per la sperimentazione triennale e almeno 35 milioni all’anno per il progetto “a regime”) senza (più) avere figli che la frequentano, ha un legittimo interesse a che i soldi delle sue imposte vengano utilizzati bene, visto che ce li mette senza un ritorno diretto. E spendere 35 milioni in più ogni anno per abbassare il livello di preparazione dei giovani ticinesi in nome dell’ideologia egualitarista rossa e della non-selezione non è un buon utilizzo del denaro pubblico. Non è perché con la riforma-Bertoli si spenderebbe di più per la scuola che questo implica automaticamente un suo miglioramento.
La pillola lieviterà
Oltretutto la cifra di 35 milioni all’anno è pure destinata a lievitare dal momento che le conseguenze della “scuola che (speriamo non) verrà” sull’edilizia scolastica comunale sono ancora sconosciute e tutte da valutare. L’importanza finanziariadel tema è tale che già da sola basterebbe a giustificarne la messa in votazione popolare. Del resto se in Ticino esistesse il referendum finanziario obbligatorio in vigore in 18 Cantoni, la chiamata alle urne avverrebbe in automatico.
Raccoglitori minacciati
La raccolta delle firme per questo referendum non è stata semplice. Alcuni raccoglitori sono stati insultati e minacciati dai soldatini della $inistra partito dell’odio. Chiaro: i $inistrati pensano di essere gli unici a poter lanciare dei referendum. Guai se i detestati “nemici” osano fare la stessa cosa; a maggior ragione contro una riforma rossa. Morale, legalità, diritti popolari: per i kompagnuzzi valgono solo a senso unico. Cioè quando fa comodo a loro. Del resto, da un’area politica che pretendeva di rifare il “maledetto voto” del 9 febbraio poiché l’esito non le era gradito, ci si può forse attendere che rispetti i diritti popolari? Ma va là!
Del resto il buon Bertoli ha tacciato di “mente contorta” i promotori del referendum contro la sua riforma scolastica. Non risulta che abbia riservato analoghe amabilità a chi ha referendato la riformetta fisco-sociale.
I docenti ci sono
Altro dato degno di nota: parecchi docenti hanno contribuito alla riuscita della raccolta di firme contro “La scuola che verrà”. Lo hanno fatto da dietro le quinte, comprensibilmente preoccupati per possibili ritorsioni. Però lo hanno fatto. A dimostrazione che – contrariamente a quanto raccontano i vertici del DECS – l’accettanza della riforma da parte del corpo insegnante è, per usare un eufemismo, piuttosto scarsina.
Lorenzo Quadri