Tutti a firmare il referendum: la posta in gioco è il futuro della nostra società
Prosegue la raccolta firme contro la riforma “La scuola che (si spera non) verrà”, ossia la riforma bertoliana grondante ideologia rossa.
E’ importante firmare il referendum affinché i ticinesi possano dire la loro. Il futuro della scuola è il futuro della società. Un tema di questa portata non può certo essere lasciato decidere da un manipolo di burocrati del DECS, tutti rigorosamente targati P$, che intendono utilizzare la scuola per inculcare nelle nuove generazioni la loro visione di società. Basta dare un’occhiata alle allucinanti pippe mentali con cui il Dipartimento tenta di giustificare la riforma scolastica rossa per capire che il leitmotiv è il livellamento verso basso. Il modello è quello della siepe: per portare tutti gli arbusti alla stessa altezza, si taglia sempre più in basso (e, a furia di abbassare, si arriva rasoterra). E poi il tandem PLR-PPD, dopo aver dato il via libera a questa riforma $ocialista, ha ancora il coraggio di sciacquarsi la bocca con la storiella delle “eccellenze nella formazione”? Ma va là…
Costi esorbitanti
A ciò si aggiunge il costo esorbitante de “La scuola (rossa) che verrà”: 35 milioni all’anno, e scusate se sono pochi! Ai quali si aggiungono i 6.7 milioni per la sperimentazione farlocca triennale.
Davanti a spese di un tale calibro, si vorrebbe non chiamare i cittadini alle urne? Lo vorrebbero, evidentemente, i $inistrati. Costoro infatti vaneggiano di essere gli unici legittimati ad impugnare le decisioni della maggioranza parlamentare. Loro possono; ma gli altri che non si azzardino! Se poi il referendum verte sulla scuola pubblica – che la gauche-caviar considera proprio appannaggio (proprio: non di tutta la società) e guai a chi osa metterci il becco – si aggiunge il reato di lesa maestà. Ed infatti chi osa infrangere il tabù viene immediatamente infamato dai kompagnuzzi. Ad esempio, i promotori del referendum contro la scuola rossa sono stati accusati dal direttore del DECS di avere la “mente contorta” (come se fosse possibile inventarsi qualcosa di più contorto degli autoerotismi cerebrali con cui i purpurei vertici del DECS argomentano la loro riforma).
Tutti siamo toccati
Il futuro della scuola riguarda tutti. Non riguarda solo i docenti, non riguarda solo gli alunni, non riguarda solo chi ha figli in età scolare. A maggior ragione quando la riforma comporta una spesa di 35 milioni di Fr all’anno, e qui delle due l’una: o questi soldi verranno a mancare altrove, oppure li si recupererà mettendo le mani nelle tasche del solito sfigato contribuente.
Quindi non firmare il referendum perché “tanto non ho (più) figli nella scuola dell’obbligo” è l’equivalente della Corazzata Potemkin di fantozziana memoria: una ca… pazzesca.
Docenti contrari
Già nei mesi scorsi i ticinesi hanno votato su un tema scolastico (assai più circoscritto della riforma Bertoli), ossia l’insegnamento della civica. Avendo i ticinesi asfaltato la casta anti-civica, la preoccupazione dei vertici del DECS davanti all’attuale referendum è comprensibile.
Da notare che l’argomento principe dei kompagni anti-civica era il seguente: “i docenti sono contrari, si vuole modificare la scuola contro il parere di chi la scuola la fa”. Ohibò: forse che i docenti sono favorevoli alla “scuola (rossa) che verrà”? La risposta è: no! Non lo sono! Infatti l’86% non ha nemmeno risposto al sondaggio online sul tema. Si tratta evidentemente di un silenzio carico di significato: è chiaro infatti che gli insegnanti contrari non potevano certo bocciare la riforma-Bertoli in un sondaggio online. I riottosi sarebbero stati subito individuati (perché, se qualcuno crede che simili inchieste garantiscano l’anonimato…). Inoltre, l’89% di chi ha risposto alle 103 (!) domande si è detto favorevole ad una sperimentazione… ma non nella sua sede! (Un po’ come chi passa la giornata attaccato allo smartphone però insorge se gli mettono l’antenna di telefonia mobile vicino a casa).
Qui non si parla di introdurre due ore di lezione al mese, come nel caso della civica. Si parla di stravolgere la scuola ticinese, contro la volontà dei docenti.
E venire a sostenere, come ha fatto il capodipartimento, che visto che la sua riforma costa una barca di soldi allora bisogna per forza essere favorevoli perché “si investe nella scuola”, è un insulto all’intelligenza dei cittadini.
Riformare… in peggio?
Sul fatto che la scuola ticinese vada riformata sono probabilmente tutti d’accordo. Ma se si riforma qualcosa, bisognerebbe farlo in meglio e non in peggio. Con “La scuola che verrà”, invece, si aboliscono i livelli senza però proporre alcun modello sostitutivo, ma partendo dal presupposto che tutti gli allievi possano seguire lo stesso curricolo. Questo si chiama ugualitarismo ro$$o e non è solo illusorio ma anche pericoloso.
Oltretutto, una simile concezione non fa che perpetuare il vetusto e nocivo pregiudizio secondo cui l’obiettivo di tutti deve essere il liceo: l’apprendistato è una scelta di serie B; un ripiego per chi non ce la fa. Niente di più sbagliato: la formazione professionale duale (scuola e lavoro) è un fiore all’occhiello del sistema svizzero, che i paesi stranieri ci invidiano. Essa consente comunque, tramite vari corsi passerella, a chi lo desiderasse di accedere a curricola universitari. Il sistema scolastico svizzero è infatti sempre più organizzato a vasi comunicanti.
“La scuola (rossa) che verrà” è una riforma ideologica che va nella direzione sbagliata. Per questo va fermata. E bisogna farlo ora, firmando il referendum contro la sperimentazione (su cavie umane). Perché, lo ribadiamo: se parte la sperimentazione, parte anche la riforma.
Lorenzo Quadri