In vista della votazione si moltiplicano gli aiuti involontari all’iniziativa No Billag

E’ cominciata da un po’ la campagna contro l’iniziativa No Billag. La quale, nel frattempo, ci mette del suo nel rendersi sempre più odiosa: vengono infatti segnalate nuove ondate di molestie  e di soprusi nei confronti di anziani che non hanno la radio, rispettivamente la TV.

Interessante notare che l’iniziativa No Billag il Consiglio federale la respinge senza controprogetto, ma con visibile schifo. Orrore! Non si entra nemmeno nel merito! L’emittente di regime non si tocca! Invece, quando si tratta dell’iniziativa che vuole cancellare il 9 febbraio, prendendo a schiaffi la volontà del 70% dei Ticinesi trattati da razzisti e fascisti, di reazioni schifate non c’è traccia.  Anzi, il Consiglio federale – voglioso di sabotare il “maledetto voto” – entra nel merito con malcelata goduria. Evidentemente qualcuno ha perso la capacità di vergognarsi.

Il rapporto e il ricatto

Nei mesi scorsi, il governo  ha pubblicato un rapporto sullo stato del servizio pubblico radiotelevisivo. Nel logorroico documento, il Dipartimento Leuthard riesce a dire che l’è tüt a posct. E questo malgrado nel giugno 2015, quindi non tre secoli fa, metà della popolazione svizzera abbia asfaltato la SSR nella votazione sul canone obbligatorio anche per chi non ha né radio né tv. Ma a Berna si va avanti come se niente “fudesse”.

Oltretutto, dimostrando evidente mancanza di argomenti, per convincere gli svizzerotti a respingere l’iniziativa No Billag il Dipartimento Leuthard si serve, ancora una volta, del ricatto (lo fece già in occasione della votazione sulla vignetta autostradale a 100 Fr, per chi ha presente; sappiamo con quali risultati). Questa volta il ricatto è il seguente: guardate che si vi azzardate a votare l’iniziativa No Billag a farne le spese saranno il Ticino e la Romandia.

Scudi umani

Di fatto, dunque, le minoranze linguistiche vengono utilizzate come scudi umani per parare il fondoschiena alla SSR. Oltretutto raccontando fregnacce. Perché l’obbligo di offrire programmi equivalenti nelle tre regioni linguistiche non dipende dalla Billag e dall’ammontare del canone, bensì dalle disposizioni legali che regolano il servizio pubblico e l’autorizzazione ad esercitare dell’emittente.

Particolarmente grottesco il fatto che dall’interno della stessa amministrazione federale siano giunte veementi critiche contro il rapporto del Dipartimento Leuthard. Per la Commissione della concorrenza e per la SECO, infatti, sul servizio pubblico in campo di radiotelevisione occorre discutere eccome. Certo, la SECO si è ormai del tutto screditata con le statistiche farlocche sull’occupazione. Ma la ComCo no.

Svegliare il can che dorme

Se la SSR crede di trovarsi in una botte di ferro perché la nuova legge che ha trasformato il canone radioTV più caro d’Europa in un’imposta è stata approvata per ben (!) 3000 voti a livello nazionale, e perché il Consiglio federale se ne impipa del malcontento degli utenti e le regge la coda con ottusa acriticità, forse ha fatto male i conti.

Il rapporto sul servizio pubblico infatti, non fornendo alcuna risposta alla metà dei cittadini svizzeri che nel giugno 2015 ha bocciato la SSR, ha dato la stura, a livello parlamentare, a tutta una serie di proposte e di emendamenti. In sostanza, invece di metterla via senza prete, come da intenzione dipartimentale, si è svegliato il can che dorme.

Mangiano pane e volpe?

Sicché adesso la SSR rischia di vedersi mettere in discussione ed in votazione proprio quello su cui non voleva che si discutesse (e ancor meno che si votasse). Prima di tutto il ruolo del servizio pubblico. Si moltiplicano le voci che chiedono di passare ad una stretta sussidiarietà. Traduzione: la SSR si ritiri da quello che possono fare anche i privati. Poi, una volta ridotto drasticamente il campo d’azione dell’emittente di regime, si riduce di conseguenza anche l’ammontare del canone (l’UDC torna alla carica con la proposta di canone a 200 Fr). La SSR, con le sue velleità espansionistiche su internet, butta ulteriore benzina sul fuoco. Pretende infatti – essendo finanziata con il canone – di fare concorrenza sleale ai portali privati, che devono stare in piedi solo con le entrate pubblicitarie.

Certo che questi alti papaveri della TV statale mangiano pane e volpe a colazione! Invece di passare all’acqua bassa,  hanno mire imperialistiche. E si tirano la zappa sui piedi da soli. La Waterloo di De Weck e compagnia cantante è dietro l’angolo.

Deciderà il Parlamento?

Inoltre, la bella pensata di trasformare il canone in un’imposta quando non esiste la necessaria base legale, ha ottenuto il brillante (per la SSR) risultato di mettere il vento in poppa a quanti da tempo chiedono che sia il parlamento a decidere l’ammontare della nuova imposta. E se i grandi scienziati della SSR e del DD (Dipartimento Doris) sono proprio sicuri che non ci siano i numeri per far passare una proposta di questo tipo e per poi decidere, in parlamento, un drastico taglio al canone, con tutte le conseguenze del caso, forse sarebbe il caso che riprendessero in mano il pallottoliere. Quando si dice: andarsele a cercare col lanternino…

Lorenzo Quadri