I giornali non si accorgono che la barca è piena e che stanno facendo un autogol

Il mercato del lavoro in questo sfigatissimo Cantone è andato a ramengo a causa dell’invasione da sud voluta dalla partitocrazia. Ad inizio agosto abbiamo appreso che i frontalieri sono ormai 76mila, in continuo aumento nel settore terziario dove non c’è alcuna “penuria” (per usare un termine che va per la maggiore) di manodopera residente.

A seguito della situazione politica italiana – crisi di governo ed elezioni il 25 settembre – la firma del famigerato accordo sulla fiscalità dei frontalieri è destinata a slittare alle calende greche. Da notare che siamo in ballo da oltre 7 anni. Nel 2015, l’allora ministra delle finanze, ovvero la catastrofica Eveline Widmer Puffo, parlò di sottoscrizione imminente, evocando perfino la disdetta unilaterale da parte svizzera della Convenzione del 1974 nel caso in cui Roma avesse fatto melina. Campa cavallo.

Il Belpaese ha promesso a più riprese l’entrata in vigore del nuovo regime col primo gennaio 2023. Adesso, per questioni interne sue, viene meno alla promessa. Ma questo non può né deve essere un problema nostro. Di conseguenza, la Svizzera deve disdire la Convenzione del 1974 per il 31 dicembre di quest’anno.

Neanche un piccolo disincentivo

Sta di fatto che senza il nuovo accordo non entra in vigore nemmeno il regime fiscale per i frontalieri da esso previsto, meno favorevole ai permessi G rispetto a quello attuale. Ciò significa che verrà a mancare anche questo modesto disincentivo al frontalierato.

Intanto, accade che:

  • In Italia l’inflazione, trascinata dai costi dell’energia, è alle stelle. Si parla di bollette elettriche destinate non solo a crescere, ma addirittura a diventare un multiplo di quelle attuali. Il potere d’acquisto va a ramengo.
  • Il franco continua a rafforzarsi. Dunque lavorare in Svizzera diventa ancora più interessante per chi risiede nel Belpaese.

Il risultato di questa combinazione è facile da prevedere: l’assalto alla diligenza del mercato del lavoro ticinese. Tanto per dirne una: nei gruppi facebook di frontalieri compaiono richieste di indicazioni su bred & breakfast o su stanze da affittare per svolgere colloqui di lavoro in Ticino. Ciò  peraltro lascia sospettare che i cercatori d’impiego siano dei frontalieri farlocchi. Ovvero che nemmeno vivano nella fascia italiana di confine. Altrimenti non avrebbero bisogno di un posto per pernottare.

Non credere alle favole

La libera circolazione senza limiti provoca ovvi disastri alle nostre latitudini. Ma non è che per il Belpaese sia una manna: lì provoca fuga di cervelli e deindustrializzazione. I politicanti italici, con giornalai al seguito, finora hanno sempre difeso ad oltranza il frontalierato per motivi elettorali (i permessi G sono tanti e votano), senza però rendersi conto degli effetti boomerang sul loro stesso territorio.  Un malandazzo che continua. Di recente, ad esempio, il portale la Prealpina ha pubblicato un articolo che istiga il lettore ad andare a lavorare in Svizzera, favoleggiando di una presunta “fame di manodopera” che in Ticino è ben lungi dall’essere una realtà. Come se qui ci fosse lavoro per tutti ed ancora ne avanzasse.

Cari lettori d’Oltreramina, non credete a simili fanfaluche, perché non è vero niente! Il mercato del lavoro ticinese è saturo, il tasso di disoccupazione ILO a seconda del periodo supera quello della Lombardia. I disoccupati ticinesi spariscono dalle statistiche semplicemente perché esauriscono il termine quadro senza aver trovato un impiego. I giovani non riescono ad inserirsi nel mercato del lavoro e molti di loro scelgono di emigrare oltregottardo.

Altro che fame di lavoratori! In Ticino la barca è piena.

Problema condiviso

Poiché gli eccessi di frontalierato danneggiano anche i territori di confine italiani, sarebbe buona cosa che pure le autorità locali si rendessero conto che è ora di metterci un freno. Servono dunque, nell’interesse di tutti, delle clausole di salvaguardia. Si tratta per il Ticino di evitare l’invasione, e per l’Italia di arginare la fuga di lavoratori.

Se la controparte italiana si renderà finalmente conto della situazione, se le richieste di limitare il frontalierato selvaggio fossero congiunte e non solo unilaterali (da parte del Ticino), allora ci sarebbe la possibilità di concretizzare qualcosa di utile. Questo è un tema su cui la politichetta ticinese deve lavorare!

Lorenzo Quadri