Mercato pubblicitario: altro che “collaborazione”, altro che “spazio anche agli altri”
Ma che sorpresa! Lo psicodramma sulla “criminale” iniziativa No Billag si è concluso solo da qualche settimana, e già cominciano i giochetti per rimangiarsi le promesse fatte nei mesi di lavaggio del cervello alla popolazione che hanno preceduto la chiamata alle urne.
L’Ufficio delle comunicazioni (Ufcom) della Confederella ha infatti consegnato, fresco fresco, un rapporto in cui affossa l’ipotesi di proibire alla SSR di mandare in onda spot pubblicitari in prima serata (tra le 20 e le 22). Tale proposta non viene dalle deplorevoli cerchie dei sostenitori del No Billag, bensì dalla Commissione dei trasporti e delle telecomunicazioni del Consiglio nazionale. A portarla è stata una deputata verde (sic!). Obiettivo della limitazione ipotizzata: liberare delle fette di mercato pubblicitario a vantaggio degli altri media. Non solo radio o TV private, ma anche stampa scritta o portali online. Del resto, regole analoghe già esistono in alcuni stati europei.
Razziare il mercato
Naturalmente la proposta di vietare all’emittente di regime di trasmettere pubblicità in prima serata non è caduta dal cielo. E’ arrivata quando nella citata commissione parlamentare si discuteva dell’iniziativa No Billag (va da sé liquidata con infamia dai politicanti della partitocrazia triciclata). Ed è stata formulata con l’obiettivo di aumentare “l’indice di gradimento” della TV di Stato in vista della votazione popolare sul canone, facendola apparire un attimino meno monopolista e meno “gossa”. Perché, come sappiamo, non contenta di incassare il canone più caro d’Europa (imposto anche ai ciechi e ai sordi, ma non ai dipendenti della SSR) l’emittente statale si premura anche di razziare il mercato pubblicitario. A tale scopo, si inventa pure le “joint venture” ad hoc con gli amichetti di Swisscom e Ringier.
Studi pro saccoccia
E’ evidente che il rapporto dell’Ufcom con cui si regge la coda alla SSR è l’ennesimo studio farlocco prodotto dai burocrati bernesi per farsi dire quello che volevano sentire. Un po’ come le indagini della SECO sul mercato del lavoro ticinese. Oppure come la recente ciofeca prodotta da Ecoplan, volta a sdoganare l’epocale fregnaccia che l’uscita della Svizzera dai fallimentari accordi di Schengen avrebbe costi plurimiliardari (e noi dovremmo bercela?).
Lo studio farlocco dell’Ufcom pretende di far credere che un divieto di spot in prima serata imposto all’emittente di regime si tradurrebbe in una fuga degli inserzionisti su Google, Faccialibro (facebook) e affini, senza alcun beneficio per i media non statali elvetici. Certo, come no. E quindi, ma tu guarda i casi della vita, la radioTV monopolista può tranquillamente continuare a fare terra bruciata del mercato pubblicitario, allargandosi sempre più a scapito della concorrenza. E quindi della tanto decantata (ma solo quando fa comodo) pluralità d’informazione indispensabile per la democrazia.
Votanti già fregati
Il rapporto dell’Ufcom puzza. Puzza di “passata la festa, gabbato lo santo”. Perché prima della votazione sul No Billag, da parte della SSR si è sentito tutto un profluvio di promesse di “fare con meno”, di “riformare”, di “ridimensionare”, di “collaborare”, di “lasciare spazio anche agli altri”. Ed invece, alla prima occasione, si riafferma con granitica inflessibilità la bulimia di risorse della TV di Stato.
Ricordiamo ai vertici dell’emittente di regime ed ai loro rabbiosi galoppini (dentro e fuori l’ “azienda”), che hanno poco da brindare per l’esito della votazione del 4 marzo. Se si sommano i Sì al No Billag (in Ticino il 35%, ovvero 6 punti percentuali in più rispetto al resto della Svizzera, ovvero ancora 50mila persone) ed i “No critici”, si arriva di sicuro ad una maggioranza. E anche ampia. Sarà bene non dimenticarselo.
Rimane la speranza (per definizione l’ultima a morire) che l’iniziativa per il canone a 200 Fr venga lanciata presto: così da dare una risposta alla maggioranza di cui sopra, composta dai Sì e dai No critici al No Billag. Una maggioranza che non deve rimanere per l’ennesima volta inascoltata.
Anche se, è evidente, l’obiettivo della TV di Stato e dell’establishment che essa serve (altro che “servizio pubblico”!) è proprio questo.
Lorenzo Quadri